Approfondiamo...

Mercato dei Vignaioli, ecco com'è andata - 1

Piccolo non è necessariamente (sempre) bello. E l'individualismo orgoglioso rischia di costare parecchio (anche in termini economici) a chi non trova mai compagni di cordata degni di lui/lei (e dei suoi vini). E quando si tratta di scendere in campo, i dubbi alla EcceBombo è meglio lasciarli a casa. Occorre andare e sporcarsi le mani. O, come avrebbe detto un altro arrabbiato, "ci impegniamo noi, senza vedere cosa fanno gli altri; ci impegniamo noi, senza pretendere che gli altri si impegnino, senza giudicare chi non s'impegna... e senza fermarsi perchè l'altro non s'impegna".

Ai primi di dicembre il quartiere fieristico di Piacenza ha ospitato un evento che gli appassionati attendevano da tempo: la prima fiera-mercato dei vignaioli aderenti alla FIVI. Una formula  aperta al pubblico, che con un modesto biglietto d'ingresso poteva assaggiare tutto quello che voleva.

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Il mercato cinese? Non è l'Eldorado

BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), ultima frontiera. Eccovi i viaggi del vino italiano alla scoperta di nuovi mercati, fino ad arrivare la' dove mai nessuna bottiglia è mai giunta prima. O quasi. E la Cina è uno di questi nuovi spazi da conoscere e colonizzare: non c'è quasi azienda (e non solo italiana) che non ci stia provando.

Ma è davvero tutto oro quel che balugina la' in fondo? Ne abbiamo parlato con un capitano di avventure enoiche di lungo corso: Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola, reduce da un riuscito (quanto altamente impegnativo) trentennale del Premio Masi (all'estrema dx nella foto d'apertura con i premiati dell'anno). 

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Il futuro è... dietro di noi

 Avanti adagio, quasi indietro.

La vitivinicoltura italiana è un po' come la moda: detesta il passato prossimo, ma ama nostalgicamente quello remoto. In tema di gusti dei vini, questo ovviamente non vale per i vinacci di un tempo figli della povertà (in tutti i sensi: culturale e tecnologica).

Ciò di cui si sente sempre più nostalgia oggi sono certi bei vini da mezzogiorno: (relativamente) leggeri d'alcol, equilibrati, piacevolmente bevibili. 

Come certi Valpolicella, certi Bardolino, perfino certi Chianti. 

Ebbene, cos'avevano di particolare questi "vini di una volta", e in comune tra loro?

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Vendemmia 2011 in Veneto Occ.: parola d'ordine, raccogliere subito

Prima di cominciare a leggere, un consiglio:

1) prendete le trionfali previsioni vendemmiali strombazzate a giugno 2011 (le migliori sono quelle di Fedagri-Confcooperative);

2) stampatele su carta di buona qualità;

3) piegate il foglio così;

4) aprite la finestra e lanciate, ammirando compiaciuti l'elegante volo del vostro aeromodello...

Fatto? Bene. Possiamo cominciare. Seriamente.

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Which is the typicality in the wine?

Partecipo spesso a incontri tecnici di formazione per enologi, agronomi, studenti e dottorandi, dove l'interesse della giornata è direttamente proporzionale alla pregnanza degli interventi. Questo per dire che mi capita di rado di assistere ad un seminario aperto come quello organizzato recentemente dal GIV presso le Cantine Storiche Bolla, e che ha richiamato un numero insospettato di partecipanti, anche da altre regioni.

Il tema "I nuovi orizzonti di una viticoltura di qualità", di per se' non lasciava presagire nulla di particolarmente nuovo e originale, a dispetto del parterre di relatori invitati.

E invece, sono state quasi 5 ore filate dense di concetti, punti interrogativi e dati (alcuni, come quelli sull'ignoranza d'uso e lo spreco dei fitofarmaci in viticoltura, pesanti come macigni) che hanno tenuto la platea inchiodata al suo posto fino alla fine.

Aperto da Christian Scrinzi, direttore enologico e di produzione del GIV, con una domandina facile facile ("Qual'è il ruolo della viticoltura italiana nell'attuale scenario della produzione mondiale?"), il seminario ha poi visto avvicendarsi numerosi interventi, tra considerazioni storiche, di mercato, e tecnico-pratiche (viticoltura di precisione ed eco-sostenibile, moderne tecniche di gestione del vigneto, tecniche a basso impatto ambientale nella distribuzione degli agrofarmaci).

Moltissimi gli spunti di riflessione emersi, alcuni nuovi, altri no, ma evidentemente irrisolti.

Tra questi, il concetto di tipicità.

Noi che dai francesi abbiamo copiato (a volte male) un sacco di cose, dai vitigni alle tecniche di allevamento dei vigneti, con risultati altalenanti (si va dall'eccellente al pessimo, allo sconsigliato), non abbiamo però ripreso alcuni concetti con lo stesso significato che gli attribuiscono i cugini d'Oltralpe.

Uno di questi è il concetto di terroir. L'altro, il concetto di tipicità.

Mentre il primo, grazie al Cielo, non rientra fra le voci della tradizionale scheda tecnica di degustazione di un vino, il secondo purtroppo sì - e non sai mai che voto assegnargli.

Quando un vino può dirsi tipico? e - soprattutto -  chi lo stabilisce?

Per i francesi, ha spiegato il prof. Scienza, la tipicità è quel fil rouge che si riscontra in tutti i vini di un territorio, grande o piccolo che sia. E' la risposta del vino al suo territorio.

Gli italiani, al solito, hanno di questo concetto una definizione più elastica: così elastica che spesso non riescono a darla. O meglio, ciascuno ne da' una sua: perchè il fil rouge (anche sensoriale) comune a tutti i vini di un territorio, diciamo noi, rischia di portarli alla banalizzazione, e non sia mai che gli italiani facciano vini normalizzati.

Perciò, spazio alla fantasia (dei vini, e delle definizioni): cos'è la tipicità in un vino?

 

L'importanza del bicchiere nell'assaggio del vino

"Il vino è un compagno problematico" diceva Luigi Veronelli.

E l'assaggio del vino un'arte e non una scienza, aggiungo io (perdonate l'immodestia), sebbene non sia priva di elementi scientifici.

E' un'arte perchè il corpo umano è una macchina tanto complessa quanto imperfetta. Perchè siamo tutti diversi. Perchè buona parte dell'assaggio di un vino si fonda su reazioni fisiologiche e meccanismi psicologici simili in tutti, uguali in nessuno.

E perchè anche gli strumenti dell'assaggio non sono neutrali.

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Wine app: iWineMaker

Sono una iPad-fan, e come qualche decina di milioni di soddisfatti possessori della tavoletta con la mela, tra le millanta cose che faccio ogni giorno c'è anche il tener d'occhio i nuovi arrivi sull'AppStore. Il quale ha ormai toccato quota mezzo milione di apps, migliaio in più, migliaio in meno.

 500 mila programmini che fanno di tutto per tutti, scaricabili sui dispositivi più diversi, dall'iPhone all'iPad passando per l'iPod Touch.

Tenersi aggiornati su ciò che offre il mercato non è semplice, dato il ritmo frenetico con cui ogni giorno vengono aggiunte nuove applicazioni. Meno male che, almeno nel mondo del vino, si viaggia ad una velocità più accettabile.

Questo per dire che le apps davvero interessanti e utili per chi è del settore, sono poche.

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Il vino e la confusione degli stili

Ci fu un tempo in cui le cose in enologia erano semplici come il sistema binario: 0 e 1. Acceso / spento. In quei tempi che oggi tanto remoti ci appaiono, la macerazione era quel momento tecnologico che distingueva il vino rosso da quello bianco. Il primo la faceva, il secondo no.

Tempi remoti, appunto. Oggi di macerazioni - brevi, lunghe, lunghissime - si parla a prescindere dalla dicotomia bianco/rosso, con tutto quel che di tecnico - ma non solo - ciò comporta. Alla macerazione, alle sue prospettive presenti e future, l'OICCE ha dedicato di recente una giornata di studio, (rivolta ovviamente agli addetti ai lavori) e che ha visto sfilare al tavolo dei relatori enologi, ricercatori e docenti universitari.

Al di la' delle peculiarità di una macerazione a cappello sommerso piuttosto di una a cappello galleggiante, tra i molti motivi di riflessione e discussione emersi, uno ci è parso di un certo interesse, uno spunto più di riflessione che tecnico: la constatazione che viviamo in un momento storico di confusione degli stili enologici. 

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L'aroma nell'uva? Una questione di geni

Non c'è dubbio che le uve aromatiche partono in pole position: facile ricavare dei vini accattivanti e profumati, quando già le uve lo sono. Oggi possiamo dire a cosa sia dovuto questo naturale talento del profumo: grazie alle ricerche degli studiosi dell'Istituto di San Michele all'Adige, sappiamo con scientifica certezza - chè già era facile intuirlo - che è tutta una questione di geni. 

Dopo aver decodificato il genoma della vite, in particolare del pinot nero, adesso il gruppo di genomica applicata del Centro Ricerca e Innovazione dello IASMA ha scoperto il gene che determina l'aromaticità delle uve: il DXS.

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Tutto (o quasi) quel che avreste voluto sapere sul "ripasso"

... e non avete mai nemmeno sognato di chiedere.

Si sa che oggi l'Amarone della Valpolicella e il Valpolicella Ripasso sono tra i vini più gettonati (meglio: bevuti) dai mercati mondiali. E se l'Amarone continua ad essere una specie di icona dell'enologia italiana nel mondo, attualmente è il Valpolicella Ripasso a riscuotere i maggiori successi commerciali. Un esito che gli stessi produttori di Valpolicella avevano largamente previsto, e che si erano in un certo senso assicurati, dandosi un disciplinare di produzione nel quale si stabilisce che "il quantitativo dei vini a DOC Valpolicella Ripasso non può essere in volume superiore al doppio del volume di vino ottenuto dalle vinacce delle tipologie Recioto della Valpolicella e/o Amarone della Valpolicella impiegate nelle operazioni di rifermentazione/ripasso".

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