...quannu i nuvuli vannu a muntagna, posa la truscia c'annunca si vagna ("quando le nuvole vanno verso la montagna, posa la biancheria, altrimenti si bagna". Prov. siciliano).
A muntagna. Così i suoi abitanti chiamano l'Etna: "la" montagna. Per definizione. Non ne (ri)conoscono altre. Una parola che indica un luogo - meglio, un topos, cioè uno spazio che è anche mentale, non solo fisico - mutevole e imprevedibile, per quanto monitorato in tempo reale con rigore e ostinata passione da scienziati come il vulcanologo Salvo Caffo, dirigente del Parco dell'Etna.
In realtà, l'Etna non è semplicemente "un" vulcano. E' un insieme di vulcani, una struttura complessa, la più grande d'Europa e tra le più attive al mondo. Un ambiente che sa essere generoso e indifferente insieme, capace di regalare momenti, emozioni, paesaggi e suoli originali e irripetibili, e al tempo stesso in grado di riprenderseli tutti in poco tempo, distruggendo per ricostruire: da un'altra parte, magari, e a modo suo, ovvero senza alcun riguardo per l'uomo e i suoi sforzi.
Le uve che nascono e crescono nell'area della Doc Etna (carricante, catarratto, minnella, nerello mascalese e nerello cappuccio) risentono di questa unicità: respirano sole e vento e lapilli e ceneri. Gli uomini hanno imparato a convivere con i disagi grandi e piccoli di questo gigante che "respira", spesso fuma, ogni tanto brontola, si scuote e starnuta colate laviche più o meno consistenti, e con un sentimento di precarietà costante: al tempo stesso però un po' ne vanno fieri, perchè tutto questo ha un che di straordinario. Una specie di privilegio che in Italia è concesso a pochi. A pochi uomini, ma soprattutto a pochi vini: quelli delle aree vulcaniche, attive e non, che attraversano l'Italia.
Dal Monte Calvarina del Soave all'Etna, passando per Ischia e i Campi Flegrei, i vini bianchi da suoli vulcanici vantano caratteristiche simili pur nella diversità di stili, uve e provenienze, e proprio questi tratti comuni sono da pochi anni al centro dell'iniziativa di promozione e comunicazione lanciata da Soave con Vulcania, Forum Internazionale dei vini bianchi da suoli vulcanici, e prontamente raccolta dal Consorzio dei Vini Etna Doc, da quello dei Campi Flegrei, e dal Consorzio dei Vini d'Ischia (ai quali, in occasione di ViniMilo, si sono aggregati anche i Consorzi del Durello, dei Vini di Gambellara e quello dei Colli Berici).
ViniMilo era una sagra di paese, come ce ne sono a centinaia in giro per l'Italia: ma per la sua 31 edizione ha saputo accettare la sfida della svolta (qui l'ottimo resoconto di Aristide).
Un giro di boa che prelude a sua volta a nuove sfide (come quella dell'internazionalizzazione, per esempio: all'estero i vini bianchi dell'Etna e dei suoli vulcanici in genere sono poco o nulla conosciuti) ma che per cominciare ne ha già vinta una: quella dell'aggregazione, della collaborazione e della sinergia tra territori di produzione.
Un format con il quale questi vini figli (in qualche modo) dei vulcani intendono presentarsi (anche) ai mercati esteri. Per una volta, "fare squadra" non è solo un modo di dire.