Si è parlato tanto di Vinitaly anche quest’anno. "Com’è andato?" è stata la domanda più frequente che mi sono sentita rivolgere da tutti, professionisti del vino e non. Difficile rispondere. Per la qualità degli incontri che ho fatto e dei vini che ho assaggiato, Vinitaly non è stato tempo perso per me; ma i risultati positivi che ho ottenuto erano in gran parte previsti perché preparati e pianificati da tempo, com’è buona regola ad ogni fiera. Premesso questo, spiace constatare anche quest’anno che il livello di problemi lamentati da anni non è affatto diminuito, anzi, e che da più parti si levano proteste (per non dire autentiche arrabbiature). In una fiera colossale com’è diventata Vinitaly, è statisticamente impossibile far contenti tutti, ci sarà sempre qualcuno scontento per qualcosa; ma quando i disservizi riguardano la sicurezza, la legalità e il decoro, è chiaro che bisognerebbe prendere provvedimenti; rigorosi, forse anche dolorosi per qualcuno, ma autentici.
Personalmente, dubito che tali provvedimenti verranno mai presi: Vinitaly resta la più grande vetrina del vino italiano nel mondo, ed essendo l’Italia uno dei paesi produttori più importanti, chiunque abbia a che fare con questo business non può fare a meno di Vinitaly – può saltare qualche edizione, ma non può abbandonarlo per sempre. L’Ente Fiere di Verona questo lo sa: è la sua grande forza e la sua grande debolezza. La diserzione di qualche azienda – fossero anche qualche decina o qualche centinaio non cambierebbe nulla – che sceglierà di non partecipare l’anno prossimo, non sarà un motivo sufficiente per mettere in atto scelte costose e spesso politicamente scomode (come quella di escludere dall’ingresso in fiera i consumatori, categoria in cui si annoverano i branchi di giovani e qualche adulto ai quali il vino piace così tanto che finiscono per ubriacarsene). Non sarà un motivo sufficiente finché ci sarà una lunga lista d’attesa di altrettante aziende che, invece, al Vinitaly vogliono entrare. Detto questo, l’interrogativo di fondo rimane: ammettere o no i tanti (troppi) "consumatori" che sfruttano la fiera come un colossale wine bar nel quale farsi l’happy hour del giorno?
Quando venne ideato, quasi mezzo secolo fa, con il nome “Le Giornate del Vino Italiano”, l’appassionato di vino (winelover) non esisteva e le poche occasioni di avvicinamento al vino con annessi assaggi più o meno seriali erano date dalle annuali sagre agricole e da qualche locale festa del vino. Mezzo secolo dopo, di feste e fiere enogastronomiche se ne contano 20 o 30 al giorno in giro per l’Italia, nelle città ci sono più wine bar che panetterie, la gente viaggia, molte cantine sono aperte tutto l’anno, e schiere inesauribili di appassionati si iscrivono ogni anno a corsi AIS, ONAV, FISAR.
Il quadro storico insomma è radicalmente mutato, e questo rende non più necessaria (ovvero superflua) anche la natura mista di Vinitaly in quanto fiera cons-pros; chi vuole semplicemente assaggiare un certo numero di vini può farlo benissimo all’Enoteca allestita in Gran Guardia. A chi poi mi parla dell’importanza di avvicinare direttamente i produttori, faccio osservare che alle schiere di ragazzotti che barcollano da un stand all’altro chiedendo genericamente “un bianco” o “un rosso”, del produttore interessa né punto né poco. Forse, chiudendo definitivamente le porte a questo genere di “consumatori”, si riuscirebbero a evitare certe scene miserevoli. Certo, così facendo si andrebbero a penalizzare anche i veri winelovers, coloro che il vino sanno davvero apprezzarlo e gestirlo: è un effetto collaterale di cui bisognerà tener conto, e per essi si potrebbero studiare soluzioni alternative ad hoc. Ma i benefici di una fiera solo per professionisti in generale ricadrebbero su tutti, perfino sui residenti della zona, ai quali verrebbero risparmiate scene abbastanza disgustose. Si diminuirebbe (comunque di poco) il numero dei cosiddetti “visitatori”, ma di sicuro si aumenterebbe il livello di professionalità e di decoro della manifestazione (per non parlare della soddisfazione degli operatori).
E, almeno sul fronte di questa problematica, si potrebbe dire che siamo diventati adulti (su tutte le altre, bisognerà lavorarci…).