Non chiamatele bollicine

Ogni tempo ha le sue idiosincrasie linguistiche.

Ci furono i giorni della misura in cui, e quelli dell'attimino: sulla bocca di tutti per anni, oggi suonano stonati, clamorosamente datati, perchè i nostri sono i giorni del di tutto e di più, e dell' idem con patate.  Queste ed altre espressioni più o meno folcloristiche sono destinate a tramontare dall'uso corrente non appena se ne affaccerà qualcun'altra di nuova.

Nel settore della comunicazione vitivinicola, già di per se' complesso, mutevole e soprattutto umorale, accade la stessa cosa: ci sono parole che ad alcuni provocano autentici attacchi di orticaria, al punto che ne invocano la cancellazione dal vocabolario. Niente di male se, per una parola (o un'espressione) che se ne va, ce ne fosse una che prende il suo posto. Ma questo, a quanto pare, non sempre avviene.

Ciò premesso, ecco il testo di un comunicato stampa del Consorzio del Franciacorta, il cui presidente Maurizio Zanella prende una forte posizione, riscrive il vocabolario e apre un problema di natura linguistico/filosofica. Tutto in una volta.

"Chiamiamo il vino con il proprio nome e non con termini che ne generalizzano e ne uniformano le peculiarità, appiattendone, di fatto, la qualità percepita. ‘Bollicine’ è un termine obsoleto e senza futuro. Il tempo presente ci offre una nuova occasione per affermare i nostri vini di qualità, cominciando dal consolidare la cultura di base in materia e da un appropriato linguaggio. E’ necessario – aggiunge Zanella - iniziare un nuovo percorso per valorizzare i grandi vini anche dal punto di vista ‘nominale’. Con impegno e passione il Franciacorta ha raggiunto il traguardo dei 50 anni; a questo punto, credo sia maturo per un passo successivo, importante per poter definitivamente trovare, a livello nazionale ed internazionale, un posizionamento coerente e rispondente all'eccellenza che esprime”.

E che non si chiami più spumante – continua Zanella - per nessun motivo al mondo. L’ho già simpaticamente ricordato all’amico Franco Maria Ricci rispondendo ad un suo articolo apparso in marzo su ‘Bibenda 7’. La similitudine tra ‘spumante’ e Franciacorta è da bandire in qualsiasi citazione. Non per velleità o principio, ma per decreto ministeriale”. (Nel dettaglio, si fa riferimento al disciplinare di produzione del Franciacorta, approvato per decreto ministeriale (Mipaaf) e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in prima istanza il 24 ottobre 1995 – serie generale 249, art. 7 e poi, a seguito di modifiche ulteriormente restrittive, il 23 ottobre 2010 – serie generale 249, art. 7, che recita: “per identificare tutti i Franciacorta, è vietato specificare il metodo di elaborazione, metodo classico, metodo tradizionale, metodo della rifermentazione in bottiglia e utilizzare i termini vino spumante”).

"Oggi il Franciacorta, come anche altri vini di qualità, esige più rispetto, eleganza, identità, che il termine bollicine, ormai, non è in grado di dare – conclude il presidente Zanella. Franciacorta, Champagne e Cava: in Europa, solo questi 3 vini possono utilizzare un unico termine per identificare in modo preciso un vino, un territorio e il metodo di produzione. Ecco l’identità di cui parlo. Chiamiamo il vino con il proprio nome e quindi: Spumanti, i vini senza Denominazione specifica; Franciacorta, il Franciacorta”.

Riassumendo: il Franciacorta è un Franciacorta, il Trentodoc è un Trentodoc, il Prosecco un Prosecco e il Durello un Durello. Ci siamo? Ok.

Compito per casa n.1: trovare un nome comune che designi questa particolare tipologia di vini, senza riguardo al fatto che siano o meno a Doc. Vietato usare, come detto, le generalizzazioni "bollicine" o "spumanti". 

Compito per casa n.2: mentre i linguisti sono al lavoro, andate a spiegare le nostre sottigliezze ai nuovissimi consumatori, come i russi o i cinesi. Sì, proprio quelli che miscelano l'Amarone della Valpolicella con la Pepsi Cola. 

Seriamente: chi si ribella ai termini spumante/bollicine ha perfettamente ragione. Ma la soluzione prospettata da Zanella, a mio avviso, per quanto ineccepibile, poco si presta ad una rapida penetrazione di questi prodotti in mercati dalla cultura enologica ancora piuttosto confusa e traballante (ma con il portafoglio generoso, e molta voglia di bere made in Italy).

E' vero che nè il Trentodoc, nè il Franciacorta, al momento, (e purtroppo), sono così diffusi sui mercati esteri: ma prima o poi lo saranno (siamo molto fiduciosi). 

Speriamo che nel frattempo si sia trovata una soluzione a questo vacuum linguistico, o continueremo a ritrovarci con un contenuto (il vino) senza il contenitore (la parola che lo designa).

Il che, in un paese che eccelle nel campo della produzione vinicola come in quello della tecnologia enologica, suona quanto meno paradossale.