"Vino in bocca": mi è sembrato che.

A cosa NON SERVE un convegno?

NON SERVE a risolvere situazioni reali (raramente si esce con qualsivoglia soluzione in tasca).
NON SERVE a dire la parola definitiva su qualsivoglia problema.

Un convegno SERVE:
- a inquadrare un problema (diciamo meglio: ci prova);
- a esporre il parere di alcuni esperti sulla situazione (o problema) in oggetto;
- a stimolare un dibattito (diciamo meglio: ci prova).
Se il tutto viene condotto con mano leggera- ma- sicura, e se gli ospiti sul palco si dimostrano altrettanto sicuri-ma-leggeri, se la sala (poco o tanto) risponde, dialoga, interloquisce, il convegno funziona.

Qualcosa del genere è successo allo Iasma di S.Michele all’Adige, uno dei templi del nostro sapere viticolo-enologico: nei giorni scorsi la sua aula magna ha ospitato il convegno “Vino in bocca live blogging”, un  incontro molto live (dal vivo) ma affatto blogging (senza wi-fi in loco ti resta solo il 3G, se ce l’hai). Ora, ai fini del ristretto spazio di un post, poco importa cosa si è detto: tutti gli interventi sono stati interessanti. Io che c’ero posso dire che, al di la’ dei contenuti (coinvolgenti, opinabili, superflui) sono rimasta colpita da alcune sensazioni colte in sala, che essendo tali sono assolutamente opinabili e discutibili.  Perciò, per la serie “mi è sembrato che”, ecco alcuni spunti che ho tratto;

- mi è sembrato che il divario tra mondo della comunicazione tradizionale e mondo della comunicazione innovativa sia sempre più profondo, e che (soprattutto) i rappresentanti del primo non abbiano la minima intenzione di tentare di colmarlo. Non si capisce se la rete li spaventa, li preoccupa, li faccia sentire inadeguati, o tutte queste cose insieme. Nel dubbio, si fanno un vanto di questa loro diversità e nolontà di mettersi al passo con i tempi, consapevoli del fatto che ci sarà sempre un mercato che li segue e prenderà le loro parti (e che probabilmente farà la loro stessa fine: dopotutto, con i dinosauri si è estinta un sacco di altra roba).

- mi è sembrato che il cammino verso una serena convivenza tra chi fa il vino e chi lo giudica sia ancora lungo. Soprattutto tra i produttori si avverte un senso sempre più marcato di frustrazione ed esasperazione nei confronti delle guide, aggravato dal fatto che adesso, in aggiunta, si trovano a che fare con persone che spesso sono armate del sacro fuoco dell'entusiasmo, dell'alto senso di una missione da compiere, di molta buona volontà e... basta.  Competenza tecnica? zero (o quasi). “A volte avevo l’impressione che non capisse una parola di quello che gli stavo dicendo” mi ha detto sconfortato più di un produttore, a proposito della persona che è andata a trovarlo in cantina per raccontare l’azienda. Cari produttori, portate pazienza, sono newbies, impareranno. Col tempo. Dopotutto, sono solo trent'anni che pazientate.

- mi è sembrato che nonostante tutto qualcosa si muova, proprio tra gli addetti ai lavori. Mi rendo conto che chi non conosce, o non frequenta l’Assoenologi (e per farlo bisogna essere uno di loro, oppure godere di potenti entrature ad hoc) non può capire: ma l’associazione di settore più importante del mondo del vino italiano, colonna portante del nostro sistema produttivo, è quanto di più preistorico e refrattario alle innovazioni si possa pensare. E’ un’associazione rigidamente gerarchica, retta con mano ferrea dai livelli superiori (in particolare dal suo inossidabile e inamovibile dg): le sezioni periferiche non possono azzardarsi a prendere la più piccola iniziativa senza il placet dall’alto. E finora tutto ciò che poteva riguardare anche alla lontana l’eretica e dissoluta libertà della rete, era stato stroncato sul nascere. Perciò, il fatto che la sezione trentina di Assoenologi sia riuscita a organizzare un convegno su questi temi, e per di più in un luogo-simbolo della loro formazione, può significare solo due cose: un (riuscito) colpo di mano degli stessi enologi trentini (in particolare di uno di loro, con la complicità del suo presidente di sezione)... oppure l’inizio della svolta. Anche se vedo più probabile la prima, spererei nella seconda ipotesi, perchè il mondo degli enologi ha un bisogno disperato di entrare nel nuovo millennio.

- infine, mi è sembrato che il grande tema “quale linguaggio per comunicare il vino” sia destinato a entrare nel novero degli interrogativi esistenziali (che per loro stessa definizione sono senza risposta). Nel senso che ciascuno gli da’ la risposta che più gli aggrada: poetico-letteraria (ma se non siete costui non provateci, o schianterete il vostro pubblico dalla noia), ironico-sulfurea (idem: umoristi si nasce, non si diventa), letterario-filosofica, lineare-diretta ...Eccetera.

Insomma, a ciascuno il suo (stile). I gusti sono molti, ma la rete è taaanto grande...