Caro Durello,
d’accordo. Nonostante tu sia la quinta denominazione spumantistica italiana, sei una piccola cosa (meno di 400 ha, tutti in collina e su terreno d’origine vulcanica): però stai crescendo bene. Quando ti conobbi, negli anni 90, i produttori iscritti al neonato Consorzio di Tutela non arrivavano a 10. Oggi sono 34, e ogni anno qualche nuova azienda chiede di entrare. La produzione (da poche migliaia di bottiglie) è arrivata a toccare il milione. I tuoi vigneti sono diventati adulti (l’età media spazia dai 10 ai 40 anni e più) e i produttori hanno imparato in questi anni a conoscerne il carattere e le reazioni all’ambiente e ai suoi capricci.
I vini sono buoni, con numerose punte di eccellenza sia tra gli Charmat che tra i metodo classico. Hai tutti i motivi per sentirti soddisfatto dei traguardi raggiunti. E invece.
Invece, eccoti lì, sotto sotto, a piagnucolare: “ma… guarda il Prosecco…! non arriverò mai ai suoi numeri”. Oppure a brontolare: “Però, eh! lo Champagne è un’altra cosa, tutti lo rispettano, tutti lo conoscono, lo chiedono, le maison centenarie, i prezzi a bottiglia, e bla bla bla”.
Non è che stai cercando scuse per non impegnarti di più? Il dubbio è lecito.
Accetta 3 consigli da un tuo Ambasciatore di lunga data:
smettila di fare confronti. Infischiatene di quello che succede nel mondo del Prosecco. Soprattutto, smettila di cercare di imitarlo, aumentando i residui zuccherini nello Charmat per renderlo più ruffiano: il risultato sarà anche gradevole, ma è un maquillage che tradisce il tuo vero carattere - e soprattutto ti getta nel calderone degli spumantini da prezzo. Non vorrai mica diventare disertore di te stesso per aver tentato di rifare il verso a qualcun altro, vero?
Smettila di paragonarti anche allo Champagne. Lo sai anche tu che al di la’ delle molte somiglianze, ci sono altrettante differenze che vi separano. Non sarai mai lui (anche se a volte, in una degustazione alla cieca, è facile scambiarvi). E’ giusto avere dei modelli illustri, dei maestri, a cui ispirarsi, ma la fase garzone-di-bottega non può durare per sempre. Arriva il momento in cui l’allievo deve mettere in pratica le lezioni imparate, e prendere coscienza di ciò che è e di ciò che può dare. Nessuno è mai diventato grande imitando (e basta).
Concentrati sui tuoi plus, che sono unici e irripetibili. Se tu per primo non sei convinto del tuo valore, nessuno crederà mai in te. Nessuno ti cercherà. Cerca il tuo stile, prova, sperimenta, senza però fermarti alle mode, che come arrivano passano. Oggi funzionano gli spumanti metodo classico non dosati. Domani, chissà. L’importante è che ciascuna casa vinicola durellista trovi il suo stile personale, inconfondibile, come un musicista che capisce qual’è il suo strumento ideale: solo così si potrà formare l’orchestra e dar luogo alla sinfonia della tua denominazione. Soprattutto, abbi coraggio. Non accontentarti di quel poco/tanto che hai ottenuto fin qui. Hai alle spalle una storia di pionieri (Marcato, Fongaro, Cecchin) che agli albori hanno scommesso su un vitigno che nessuno (al di fuori dei locali) conosceva, e che definire scorbutico è ancora un complimento. Se avessero voluto una vita facile avrebbero piantato garganega o chardonnay e tanti saluti. Di vendemmie ne son passate da quei giorni, ma il tempo dei pionieri non è finito: la tua, caro Durello, è ancora una frontiera. Tutta nuova e da esplorare.
Soprattutto, sii fiero della tua originalità: perchè sei l’unico spumante che, una volta assaggiato, da’ dipendenza. E non si lascia più.
P.s.: grazie all’amico Nicola Dal Maso, che con il suo evento “Durello: utopia o nuova frotniera?” mi ha stimolato queste riflessioni.
Ps. 2: auguri di buon lavoro all’enologo Paolo Fiorini, neo-presidente del Consorzio di Tutela di questa DOC
P.s.3: per correttezza d’informazione, in base all’ultima modifica di disciplinare (2018), lo spumante Durello metodo Martinotti o Charmat (rifermentato in autoclave) si chiama Lessini Durello. Quello metodo classico si chiama Monti Lessini. Non mi ci abituerò mai.