C'era una volta - e c'è ancora - un vulcanico direttore di Consorzio che dovendo promuovere uno dei vini più strani, scorbutici e misconosciuti del panorama enologico locale e nazionale, pensò bene di radunare un gruppetto di amici giornalisti appassionati di vino, curiosi e rotti-a-tutto e di coinvolgerli direttamente nell'avventura. Con loro fondò un apposito Fan Club, li nominò a turno Ambasciatori di quel vino e organizzò giornate esplorative sul territorio (non si chiamavano ancora press tour) a metà strada tra l'occasione di formazione e la gita scolastica, dove le buone cose da mangiare (tutte a km 0, ma ancora non si diceva così) abbondavano, al pari dei campioni di quel vino, con i cui tagli una volta i giornalisti furono perfino chiamati a cimentarsi, sotto la guida di enologi tanto esperti (della materia) quanto perplessi (dei materiali con cui avevano a che fare, cioè i giornalisti stessi). Si respirava un'aria molto goliardica e ruspante, in quelle giornate, ma tra un frizzo e una battuta quel maledetto vino che ti lega la lingua al palato da tanto è aspro ci entrò dentro e non se ne andò più. "State attenti, perchè il Durello da' dipendenza" ci ammoniva con il sorrisetto di chi la sa lunga l'ing. Renato Cecchin, produttore pioniere della prima ora. Nessuno gli credette, e tutti ci cascammo. Vent'anni dopo infatti, siamo ancora qui, perchè quando ti fai (e ti fanno) alfiere del Durello una volta, lo sei per il resto della vita e ti batti contro l'universo mondo per portare avanti le istanze di questo spumante dei Monti Lessini. Ti arrabbi con i colleghi delle guide che per anni l'hanno tenuto a distanza di sicurezza (e fuori dalla zona-premio), litighi con osti camerieri sommelier di banqueting e catering che si ostinano in ogni momento e ad ogni occasione ad offrirti la solita bollicina che tutti bevono, carina-educatina-stupidina, mentre tu insisti: "Non ha un Durello? E allora niente, grazie, bevo acqua". A Verona e Vicenza, le due città venete nelle cui province ricade la DOC del Durello, questo vino andrebbe servito di default, senza nemmeno chiedere permesso. Trent'anni dopo il riconoscimento della DOC - e quasi una ventina dai fatti citati in apertura di post - il Durello si (ri) presenta in città: anche lui è cambiato. E' un vino che ha imparato l'educazione, ha smussato qualche asprezza, e quando si presenta nella versione metodo classico invecchiato può capitare di scambiarlo per uno Champagne di quelli seri. Chi scrive, facendo parte del Club Amici del Durello di cui sopra, può ben dire di averlo visto crescere, in termini di ettari coltivati a durella, in numero di bottiglie prodotte, e in numero di aziende. Oggi il Durello non è più il vino difficile, ai limiti della bevibilità per la sua indomabile (e vulcanica) acidità: è un vino adulto, con una personalità rigorosa e inconfondibile, che ancora presenta quel tanto di sfide viticolo-enologiche che possono attirare le giovani generazioni di produttori. Ecco allora affacciarsi sul mercato un numero incoraggiante di aziendine piccole e vivaci, veronesi e vicentine, le cui prime uscite in bottiglia promettono benissimo e da cui è lecito aspettarsi grandi cose in futuro. Dopo tanto lavoro e lunghe attese, sembra insomma che finalmente sia arrivato il momento giusto anche per questo spumante da vitigno autoctono che cresce su terreni di collina e quasi montagna di origine vulcanica. Il Durello ha tante storie da raccontare: storie di uomini, contrade, tradizioni, ma anche di natura, di scoperte e di scienza. Al "Durello & Friends" 2017, la tre giorni di assaggi, ricordi, eccetera, tenutasi nei giorni dal 17 al 19 novembre a Verona è stato possibile assaggiare i vini di firme storiche e quelli degli ultimi arrivati, e le conclusioni che si possono trarre sono incoraggianti:
1) La qualità in generale si è alzata molto e ci sono alcune giovani aziende da tener d'occhio;
2) il Durello più immediato è metodo charmat, quello più complesso metodo classico. Il primo vince sul secondo per i numeri (ca. 80% della produzione), ma farne una questione su chi è più Durello sarebbe sbagliato. Non è la mera tecnica che fa la qualità o la personalità di un vino. E ciascuno dei due ha bisogno dell'altro;
3) a detta degli stessi produttori, la soddisfazione maggiore che stanno avendo in questi anni è constatare che il Durello piace perfino a chi non ama gli spumanti.
Per questo vino insomma si stanno prospettando giorni interessanti. In attesa di nuovi successi, stappiamo una bottiglia e godiamoci la festa.
Bottiglie assaggiate: Sacramundi (Riserva 36 mesi), 4 stelle; Tonello (Prime Brume Lessini Durello Brut), 4, 5 stelle; Franchetto Antonio (Borgoletto Lessini Durello Brut), 4 stelle; Dal Maso (Durello Lessini Spumante), 3, 5 stelle; Fattori (Roncà 36 mesi Durello), 3,5 stelle; Gianni Tessari (36 mesi Brut) 3,5 stelle. Nota di merito a due giovani e già brave enologhe, i cui Durello mi sono piaciuti molto: la veronese Giulia Franchetto dell'omonima azienda e la vicentina Diletta Tonello (Tonello Vini).