Back to real wine journalism - così si salva la stampa di settore

L'argomento è sempre di vibrante attualità. Mentre oltreoceano si gingillano con dotte questioni ontologico-nominaliste, al di qua dell'oceano, più banalmente e brutalmente, si lotta per la sopravvivenza quotidiana. Che si fa ogni giorno più dura. Beppe Giuliano, l'ormai noto direttore di Euposia, è un ottimo giornalista: competente, disincantato, realista, corretto (e non lo dico perchè è mio amico: online sono in molti a pensarla così, e, sono convinta, anche offline). All'ultimo TerroirVino ha fatto un intervento al vetriolo intitolato "Ritorno al giornalismo, così si salva la stampa di settore". Ha buttato, con la massima freddezza e nonchalance, un paio di granate da far sobbalzare anche un inesperto del settore. A Genova mancò il tempo per il dibattito, perciò ho pensato opportuno riprendere il suo discorso, che riporto con qualche limatura per questioni di spazio. Nota: grassetto e frasi tra parentesi sono mie.

"Parto dalla ricerca di mercato che come Euposia abbiamo fatto realizzare da Unicab: il 2009 era stato un anno positivo per noi, perciò abbiamo voluto verificare qual'era il nostro posizionamento sul versante degli inserzionisti principali per un giornale dell'area food&beverage: quello dei produttori di vino. Abbiamo fatto una domanda banale a 300 di loro: ci fa il nome di un rivista di settore che conosce? Il risultato è stato devastante. Non per noi, che siamo fra gli ultimi usciti in edicola (e siamo al 5° posto in una lista di oltre 20 citate). E' stato devastante per le riviste storiche, blasonate, che sono state citate appena da un vignaiolo su due. Dopo 30 anni di lavoro, il 50% dei produttori non conosce Gambero Rosso e Civiltà del Bere. Wine Spectator, la bibbia del vino, è citata da un produttore su 4. Vi do alcuni numeri, che rendiamo noti per la prima volta e ritengo davvero interessanti: Gambero Rosso, 50.8%. Il Mio Vino, 44.4%. Civiltà del Bere, 36.7%. Wine Spectator, 24.2%. Spirito di Vino, 15.5%. Decanter, 15.5%. Euposia, 15.2%. Bibenda, 9.7%. Slow Food, 8.1%. Il Corriere Vinicolo, 8.1%. Italia a Tavola, Vie del Gusto, Food&Beverage Monthly, 5.6%. A Tavola, 2.4%.

Cosa dimostrano banalmente questi dati? che è ora di smetterla di fare i giornali per questi signori (i produttori, ndr), sperando che si ricordino di noi nel momento di fare i budget pubblicitari, ma che bisogna tornare a guardare al lettore. Ogni mese vanno in edicola 300-350 mila copie di riviste per un pubblico che stimiamo in 3 milioni di wine-trotter e di 5 milioni di foodies, ovvero quelle persone opinion leader in ambiti ristretti, appassionati di vini e cucina che riescono a condizionare il giudizio di parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro. 350 mila copie per 5, 6, forse 8 milioni di utenti. Se tutti gli editori vendessero tutte le loro copie, comunque, non intercetteremmo che un lettore su 3-4. Certo, l'Italia non è il paradiso dei lettori. Ma se i produttori di vino non conoscono o trascurano la stampa delegata all'informazione dei loro consumatori, e se questi ultimi non conoscono o non apprezzano la stampa che parla delle loro passioni, beh, allora è proprio vero che, grazie a questa crisi, è arrivato il momento di voltar pagina.

Come si torna a parlare ai lettori? Io sono entrato fra gli ultimi nel settore della stampa vinicola. Quando abbiamo rilevato Euposia, ci siamo posti il problema di renderlo il più possibile vicino agli standard degli altri nostri giornali, locali e nazionali (Euposia è edita da Contesto Editore, una società cooperativa che edita anche altre testate, tra cui il quotidiano L'Adige di Verona, ndr): giornali dove l'attenzione a non prendere "buchi" - ma a darne - era spasmodica. Cosa abbiamo trovato? Una stampa dove, per dirne una, i "buchi" non esistono. Dove si parla di Sassicaia, ma guai a fare un blind tasting sui vini davvero bevuti dai consumatori (tempo fa, Euposia ne fece uno sui vini in brick e in bag in box venduti nei supermercati: risultati interessantissimi, reazioni e commenti al limite dell'isteria. Da parte dei produttori, soprattutto).

Una stampa dove si guarda  all'amicizia di principi e baroni del settore, dove è vincente l'autoreferenzialità, l'essere dentro al sistema, stabilendo perimetri saldi e stabili di amicizie. Dove non si cerca la notizia, per il semplice fatto che nel vino si da' per scontato che la notizia non c'è.

Bene, con questi soggetti la stampa di settore è destinata all'estinzione. Quindi, o si cambia, o si salta, come già è successo a qualche testata. Da dove si riparte? Dal lettore. E se si riparte dal lettoe, allora necessariamente, obbligatoriamente, si riparte dalla notizia, ovvero da quel fatto che porta con se elementi di cambiamento, di mutazione, di novità. E se si riparte dalla notizia, allora bisogna che nei giornali di settore ci siano dei professionisti in grado:

- di capire cos'è una notizia

- di raccontarla al lettore in maniera chiara e sintetica

- di valutarne le implicazioni, le evoluzioni. Saperne spiegare i lati più oscuri, meno facili, meno comodi.

Esistono nel settore dell'informazione del vino giornalisti di questa natura? Ovvero: non esegeti della viola mammola, o non soltanto di questo, ma, più banalmente, cronisti, semplici cronisti in grado di capire dove sta la notizia?...".

Voglio fermarmi qui nella trascrizione dell'intervento di Beppe, perchè l'interrogativo è rivolto soprattutto ai fruitori dell'informazione dei vino: a te che leggi. Cosa rispondi?

Finchè rifletti, riporto la conclusione:

"I prossimi giornali dovranno avere una reputazione salda, in grado di reggere anche alla competizione di nuovi operatori, di nuovi mezzi tecnologici, all'autodeterminazione del pubblico nel cercarsi e costruirsi le proprie fonti di informazione. A questo scenario non c'è alternativa".