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Un wannabe wine-influencer alle prese con i primi esperimenti video.

Gli influencers, il vino, e la comunicazione digitale

June 17, 2025 in Approfondiamo...

Si dice che meno uno capisce di politica, e più nelle discussioni si accalora. Disgraziatamente, questo accade (molto) spesso anche nel mondo della comunicazione del vino. Soprattutto quando si entra nel mare magnum della comunicazione attraverso i mezzi digitali.

Chi ne ha avuto a che fare, avrà capito molto velocemente (e a sue spese) che organizzare, per esempio, un wine press tour invitando indifferentemente nello stesso gruppo giornalisti tradizionali e (c.d.) influencers/tiktokers/youtubers è un errore che rischia di costare molto caro, e non solo in termini di ROI dello stesso press tour. L’argomento è meno semplice di quel che può sembrare, perciò in questo post si cercherà piuttosto di capire perchè questi (c.d.) influencers/tiktokers sembrano affascinare a tal punto tanti produttori di vino da indurli a credere che potrebbero essere la soluzione ai loro atavici problemi di comunicazione. E soprattutto: è replicabile il loro successo? Se Tik Tok attira così tanto i giovani, posso buttarmici anch’io e provare a imitarli? La spontaneità, l’essere se stessi, senza filtri e sovrastrutture, è la chiave di tutto. O no? In sostanza, cosa rende certi TikTok “wine influencer” così irresistibili per le Gen-Z e Millennials? Molte cose, tutte apparentemente alla portata di chiunque.

  1. Linguaggio. I wine influencers più famosi e seguiti usano tutti lo stesso tipo di linguaggio: parlano come amici, con slang, emoji, risatine, artifici tonali e vocali (uptalks, vocal fry). A quanto pare, è una modalità tipica di TiK Tok, si chiama influencer speak. Per chi nella vita quotidiana si esprime così, nulla di strano. Per tutti gli altri (la maggior parte di noi, temo), è una forzatura innaturale. Perciò no, il linguaggio non è “spontaneo”: è voluto, costruito per ottenere attenzione e tenerla fino in fondo.

  2. Competente, ma informale. I wine-inf. veri non sono gli ultimi arrivati. Hanno studiato, conoscono l’argomento, ma quando spiegano un vino o un concetto, lo fanno come se stessero parlando a un bambino di 8 anni, amichevolmente, e senza pedanteria (cfr. punto 1)

  3. L’humour è tutto. Video ironici, battute sull’abbinamento vino+snack (quale Barolo con le patatine fritte? O è meglio uno Champagne?), siparietti divertenti e leggeri . o almeno sorridere. Se il pubblico a cui si rivolgono è americano (notoriamente meno sofisticato di quello europeo), l’impresa non è difficile.

  4. Educazione semplificata. Si può ancora parlare di tannini, affinamenti, glicerina, ecc, e i wine-inf. lo fanno. In pillole, però, e possibilmente tra una battuta e l’altra.

  5. Abbinamenti creativi. Non solo piatti da ristoranti stellati, ma sperimentazioni con gli ingredienti più improbabili: snack, salse, verdure, spezie (come i peperoncini jalapeños infilati in un bicchiere di Sauvignon Blanc come fette di limone in una tazza di the).

  6. Tendenze virali. I wine-inf. di maggior successo possono permettersi di recensire anche vini da (basso) scaffale di supermercato e farli diventare un fenomeno. E più le bottiglie che pescano sono economiche, meglio è.

  7. Il vino è democratico. Il mantra di tutti è “niente regole, si beve quello che ci piace”.

  8. Accessibilità e inclusività. I wine-inf. non se tirano mai (su Tik Tok, almeno…). Spiegano usando un linguaggio semplice, rispondono ai commenti, si rivolgono a chi è alle prime armi .

  9. Professionali, ma spontanei. I pochi che possono vantare qualche certificazione “tradizionale” (da sommelier o altro) cercano di mostrarsi “uno/a di noi”, umani, “fallibili”, simpatici. E quando ci riescono hanno successo.

  10. No sponsorizzazioni. Almeno non all’apparenza. Se così non fosse, addio credibilità e autorevolezza. “Loro” sono l’amico/a che ti consiglia senza secondi fini il vino che puoi bere.

    In sintesi, con uno stile friendly, “spontaneo” e leggero, con un gergo giovanile, con contenuti rapidi, proposte di abbinamenti tutt’altro che tradizionali, recensioni di vini low-cost, e un formato video breve, divertente, e coinvolgente, i wine-inf. più bravi riescono a trascinare parecchie migliaia di followers e a crearsi quelle preziose community che le aziende pagherebbero cifre per riuscire a ottenere.

    Ma è davvero tutto così semplice?

Ovviamente no. Ciò che a prima vista ci appare “spontaneo”, in realtà è stato studiato ad arte. Un po’ come le jam sessions nel jazz: improvvisazioni che può fare solo chi conosce la musica e lo strumento che suona. Lo stesso vale per i video di questi tiktokers: il linguaggio usato sarà anche quello abituale (per loro), ma i video che sembrano improvvisati spesso seguono una specie di copione mentale: introduzione che cattura subito, frase ad effetto o battuta ad hoc, conclusione. Se un video risulta particolarmente efficace, significa che ha un ritmo, e se c’è un ritmo non è “casuale” o fortuito, è stato costruito con un montaggio in post-produzione. Ambientazione e illuminazione non sono mai casuali: spesso le inquadrature mostrano il wine-inf. in primo piano con un bicchiere di vino contro uno sfondo sfocato o privo di elementi di disturbo, in un ambiente con luci soft, per evitare che lo spettatore si distragga.

Per chi ha già dimestichezza con il mezzo, per realizzare un tiktok di 30 secondi possono essere necessarie anche più di due ore tra girato e montaggio, tempi che si allungano se il video arriva al minuto e mezzo. Non proprio una cosa da niente, però.

In conclusione, con un investimento minimale in attrezzatura e software (almeno un ring light, un cavalletto per smartphone, microfoni, qualche app tipo InShot o CapCut), un po’ di competenza di tecniche video (o qualche amico che se ne intenda), e un minimo di copione, chiunque può cimentarsi in questo tipo di comunicazione digitale del vino. A patto di voler dire qualcosa e essere disposti a farlo molto spesso (anche una volta al giorno), e per molto tempo. Perchè sì, occorre tempo - e qualche competenza SEO - per capire come funziona l’algoritmo di TikTok. E’ un lavoro, anche se può cominciare come un hobby.

In fondo, per diventare wine-inf. servono solo poche cose, alla portata di tutti: costanza, strategia e un po’ di tecnica comunicativa.

E qualcosa da dire.

Tags: wine influencer, Gen Z, Millennials, comunicazione digitale, Tik Tok, SEO, influencer talk
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Perché il vino è un prodotto della natura. E la natura ha i suoi tempi. Non i nostri, sempre così affannati, nevrotici, insufficienti. Per fare un grande vino ci vuole tempo, per fare un bambino ci vuole tempo, per fare del pane (quello buono) ci vuole tempo, tempo... e tranquillità. Anche per scrivere ci vuole tempo, perciò non pensiate di trovare nuovi post ogni santo giorno. Prendetevi tempo per leggere queste pagine. E lasciatene un po’ anche a me: ad essere pigro non c’è solo il vino.


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