Da quando Amarone, Ripasso e una sempre più folta schiera di fantasy wines Rosso Veneto IGT dai nomi più o meno improbabili (ma che fanno tutti rima con… mento), sono diventati i vini top della Valpolicella (e quelle macchine da soldi che sappiamo), wine critics, wine lovers e consumatori in genere hanno finito per perdere di vista gli altri vini dell’area, relegandoli in qualche angolo della memoria e dell’interesse. Nessuno - eccetto pochi ostinati irriducibili, compresa chi scrive - s’interessa più del Valpolicella fresco, il Recioto è diventato roba d’antiquariato, e del Valpolicella Superiore si son perse le tracce.
O quasi.
In realtà, proprio quest’ultimo è il vino che sta conoscendo negli ultimi anni un ritorno d’interesse, soprattutto nelle cantine di più recente fondazione. Ed è questo il vino su cui converrebbe puntare e impegnarsi di più anche in futuro, perchè al netto di operazioni di maquillage cui vanno soggetti gli altri vini della zona, è anche quello (insieme al fratello minore d’annata) che meglio riesce a esprimere la personalità della zona d’origine.
Ai soli Valpolicella Superiore è dedicata da anni un “Appuntamento con la tradizione”, la lodevole manifestazione ideata e organizzata dai fratelli Merzari di Villa de Winckels: una serata - allietata da un buffet di prodotti tipici sempre di eccellente livello - che segna l’inizio delle degustazioni pre-natalizie. Quest’anno, complici un paio di eventi concomitanti, si è notata l’assenza di alcune cantine che solitamente partecipano, ma gli assaggi fatti sono stati tutti molto soddisfacenti. Prima di passare al mio personale podio, alcune veloci considerazioni:
Come da disciplinare, il Superiore deve nascere in vigna: ancor più che per altri vini, la scelta delle posizioni, dei terreni, la gestione agronomica determinano per l’80% la buona riuscita del vino. Il restante 20% si fa in cantina, ma negli spazi riservati all’affinamento più che nella sala della vinificazione. I migliori Superiore vogliono semplicemente tempo.
C’è chi fa solo 10 gg, chi arriva a 40, chi lo adotta solo su una parte, chi su tutte le uve: resistere alla tentazione dell’appassimento sembra essere diventata una mission quasi impossible. Eppure qualcuno ci riesce, con risultati che valgono tutti gli sforzi fatti.
Laddove l’appassimento viene gestito con mano capace ma leggera, il Valpolicella Superiore si rivela un vino di estrema finezza, pulizia e bevibilità. E soprattutto un vino territoriale, personale, che non deve piacere per forza.
Gli assaggi: i vini degni di menzione sono parecchi, ma quelli che mi sento di raccomandare sono:
Valpolicella Superiore “Palazzo di Campiano” 2012 - Az.agr.Vicentini. Da uve fresche, coltivate in una zona privilegiata, e di cui in futuro parleremo sempre di più, è il Valpolicella Superiore della tradizione, ovvero elegante, lungo, fruttato. “Bello”, come direbbe il suo produttore - e come dargli torto?
Valpolicella Superiore “il Velluto” 2012 - Az.agr. Meroni. Un rarissimo esempio di Superiore fatto con l’uvaggio tradizionale, comprensivo anche di una percentuale di molinara. Pulito, succoso, bevibilissimo.
Valpolicella Classico Superiore 2014 - Terre di Leone. La vallata di Marano non tradisce mai, nemmeno nelle annate peggiori. Balsamico, fine, con sfumature di sottobosco, è un Superiore decisamente serio, rigoroso, da portare in tavola con qualche robusta bistecca.
Valpolicella Superiore “Ventale” 2016 - Santi. Stanno succedendo cose interessanti, in questa storica azienda della val d’Illasi, ora del gruppo GIV: un cambio di passo che promette molto bene. Questo Superiore ne è un esempio: fatto con uve fresche fermentate in legno e affinato poi in legni di essenze diverse, regala sensazioni di spezie dolci, fiori e fruttini rossi. Molto misurato, di una eleganza discreta, e di ottima bevibilità. Un piacevole ritorno ai fasti di un tempo.
Altri Superiori che consigliamo di regalarsi sono quelli delle aziende Contramalini, Piccoli Daniela, San Cassiano, Corte Canella, Ruffo Ernesto e Pietro Zanoni.