Una degustazione di vini dolci è una delle esperienze sensoriali più ardue che possano capitare anche ad un professionista. Se poi i vini dolci sono 43, all'esterno il sole dardeggia a 35 (gradi Celsius) e tu hai poco più di un paio d'ore per farti un'idea dello stato dell'arte della produzione e per dare, se possibile, alcune indicazioni di massima ai produttori su come procedere nei prossimi anni , il compito si presenta leggermente in salita.
Sfida interessante, comunque, tenutasi nelle migliori condizioni ambientali possibili (grazie a Lorenzo Simeoni e alla sempre sollecita collaborazione del Consorzio del Soave). E mentre i campioni - tutti alla cieca - sfilavano nei bicchieri di noi 12 degustatori a gruppi di cinque, un po' alla volta si faceva strada una curiosa sensazione...
Quella che, in tutti questi anni, ci siamo posti la domanda sbagliata.
I vini dolci si vendono a fatica, in Italia come all'estero, si lagnano da sempre i produttori. Per questo se ne fanno pochi, e poco. Richiedono fatica, investimenti, e nessuno li vuole. Perchè costano troppo? No. Perchè non si sa mai con che cosa abbinarli a tavola.
Ecco la domanda sbagliata. L'abbinamento. Condizionati da anni di scuole cuochesche e cerebralismi da sommelier, fino ad oggi ci siam rotti la testa nel tentativo di trovare l'accostamento culinario più opportuno, forti della incrollabile certezza che il vino va consumato a tavola sempre e comunque.
Ebbene, no. Non tutti i vini. Non il Recioto di Soave. E' infatti mia - modesta - opinione che questo vino appartenga alla ristretta (ed eletta) schiera di vini che non vanno abbinati, ma acculturati.
Ovvero, calati nella cultura del vivere quotidiano, nel personale style of life di ciascuno. Certo, la tradizione veronese abbina il Recioto di Soave con certi dolci, torte, creme, pastefrolle alle mandorle... di cui ciascuno di noi mangerà, in un anno, forse un paio di porzioni (e solo se è goloso).
Viceversa, quanti aperitivi delle 11 o delle 19, quanti alcolici (super e non) nei dopocena? quanti tè, o tisane, o caffè a metà pomeriggio consumiamo in un anno?
Vedete? non stiamo più parlando di tavola e/o alimentazione. Stiamo parlando di riti del benessere. Di pause della giornata, momenti di relax che ci godiamo da soli o in compagnia.
Ecco, il Recioto di Soave è un perfetto vino da cultura dello star bene, con se e con gli altri. Non credo esista nessuna società umana evoluta priva di questi momenti di pausa: la chiave della nuova proposta del Recioto del Soave sta tutta qui, nell'individuare per ciascuna cultura i momenti della giornata ai quali il Recioto di Soave potrebbe regalare qualcosa in più.
Un tocco aggiuntivo di benessere; si tratti delle 11 della mattina, delle 5 del pomeriggio, o delle 11 della sera. A questo punto, il fattore cibo diventa un elemento del tutto secondario, accessorio, perchè l'importante è la proposta, la capacità di incardinare questo particolare vino in un preciso stile di vita.
La domanda corretta allora non è più che cosa abbinare al Recioto di Soave, ma quando versarlo nel bicchiere.
Proporre il Recioto come il vino delle 11 (della mattina o della sera: come vi pare).
Sarà questa la sfida dei prossimi anni?
p.s.1: ai curiosi che sono allergici alle riflessioni filosofiche e vogliono sapere solo com'erano i vini, possiamo dire che erano tutti buoni. (alcuni, pochi, più degli altri). Va bene così? Ovviamente, la lista delle mie note di degustazione dettagliate vino per vino esiste. Chi è interessato può richiederla (articolo a pagamento).
p.s.2: un grazie particolare ancora a Lorenzo Simeoni, che è riuscito in un'impresa titanica di raccolta dei campioni e persuasione dei produttori a stilare una scheda dettagliatissima - oltre che in un allestimento della degustazione di rara precisione, comfort e anche bellezza. E grazie, ovviamente, ad Aldo Lorenzoni e al suo staff del Consorzio del Soave. Rotti alle iniziative più pazzesche, hanno supportato anche in questa.