"Non è il mio vino".
Si dice così quando un vino, o una tipologia, non ci acchiappa, non ci emoziona, ci lascia freddi. Onestamente: si ha un bel dichiarare "io bevo tutto, purchè di qualità". Non è vero. Non tutto, e non sempre, ci piace. Ce ne facciamo una ragione e avanti, il mondo è grande e le alternative non mancano.
Ciò premesso, parliamo del Custoza. Non è il mio vino. Non l'ho mai amato in modo particolare, l'ho sempre ritenuto un vino confusionario, un guazzabuglio di vitigni con un ventaglio fin troppo ampio e spesso disorientante di profumi, stili, gusti. Un vino anche troppo condiscendente, che cerca per forza di piacere a tutti. Nei giorni scorsi, il presidente del Consorzio del Custoza Carlo Nerozzi - a sua volta ottimo e apprezzato produttore di vini classici del Garda veronese, ovvero proprio Custoza e Bardolino - ha ospitato presso la sua azienda Le Vigne di San Pietro una verticale di vecchie annate di questo bianco, cui ho partecipato, più che per curiosità che per convinzione.
Ho capito così che fino a quel momento avevo bevuto il Custoza nel suo momento, per me, più sbagliato: quello della sua prima giovinezza, dell'esuberanza sensoriale, nella pirotecnica anarchia di profumi e gusti che di solito contraddistingue questo vino all'inizio della sua vita... oppure nella sua fase di stasi. Quando si calma, si zittisce, non dice più nulla.
Mi mancava la terza fase; la maturità. Dopo alcuni anni, il Custoza tira fuori stoffa, equilibrio e armonia, l'aromaticità spesso scombiccherata degli esordi trasformata in un bouquet composto e composito. Da vino un po' provinciale, senza troppe finezze, il Custoza riesce a diventare un vino che non teme di sfigurare accanto a piatti di carne o pasta anche elaborati. Merito dello stile di un'azienda? No: merito delle uve in quel territorio. Perchè il pallino per i vini bianchi adulti è roba degli ultimi tempi, non è frutto di un progetto enologico: i vini, soprattutto bianchi, si sono sempre fatti per essere venduti e consumati subito.
Che poi alcuni - come il Lugana, il Verdicchio, il Soave, certi Etna Bianchi, il Trebbiano d'Abruzzo... - siano anche capaci d'invecchiare bene, è un fatto che penso abbia sorpreso più di un loro produttore, prima che qualche consumatore.
Ma tant'è, questo è anche il caso del Custoza, e che questa sua inaspettata dote sia frutto della combinazione uvaggio+territorio, piuttosto che di scelte enologiche aziendali, lo dimostra il fatto che nessuno, mi pare, dei produttori dei Custoza in degustazione avesse progettato di tenerne un certo quantitativo in cantina, per studiarne l'evoluzione negli anni (o per il gusto di fare qualche verticale). In alcuni casi infatti, trovarne ancora un paio di bottiglie è stata un'impresa, come ci ha assicurato l'amico giornalista Angelo Peretti (che ha condotto e orchestrato il piccolo evento)...
Per la cronaca, ecco qualche nota da questa degustazione (che ha riguardato soprattutto vini ormai fuori commercio):
Custoza Doc 2009 - Albino Piona: prevalente mela cotogna al naso prevalente, mela gialla, poi sfumature di miele, fieno. Coerente in bocca
Custoza Sup. "Ca del Magro" 2008 - Monte del Fra: naso piú tropicaleggiante e rotondo, coerente in bocca, piú ruffiano e pieno, ma anche piú saziante.