Quale comunicazione per il vino?

L'interrogativo si pone ciclicamente, alternandosi con altri, tutti ugualmente (per il momento) irrisolti/irrisolvibili, come la contrapposizione vino convenzionale-vino biologico/biodinamico, il caro-vita al ristorante, il calo dei consumi di vino in Italia, spumanti italiani vs Champagne, ecc.

Non c'è verso, ogni 2-3 mesi da qualche parte si riaffaccia la questione "quale comunicazione per il vino". A ridosso del Vinitaly, non c'è niente di meglio - e soprattutto di originale, di cui dibattere.

Anch'io voglio essere originale, perciò ecco i miei 2 cents:

1) Non esiste "il" mercato del vino. Nè in Italia, nè all'estero. Ne consegue che non può esistere "la" comunicazione del vino. Dannarsi l'anima per cercare "la" comunicazione tout court ("un nuovo linguaggio", "nuovi modi di presentarlo", ecc.), al singolare, è una perdita di tempo e uno spreco di energie;

2) Ciò premesso, prendiamo anche atto che il 70% del vino italiano viene venduto nella grande distribuzione. Chi frequenta i supermercati? Più o meno tutti, eccetto pochi fortunati che hanno il contadino come vicino di casa, o certi gastrofanatici che fanno la spesa solo in boutique da gourmet. Ma la maggior parte della ggente, anche di quella che, quando può, frequenta volentieri i mercatini di quartiere o i Km-0, quando non può, va al supermercato.

Domanda: qualcuno si preoccupa di fare comunicazione del vino in questi store dell'alimentazione? e come? rivolgendosi a chi? Perchè il pubblico di frequentatori è, appunto, variegato. Ma se credete che la siora Maria legga il Gambero Rosso, beh, siete degli ammirevoli ottimisti. D'altra parte, in genere chi legge certe riviste di settore aborre i supermercati (sa che la moglie li frequenta, ma è un argomento di cui non ama parlare). 

E la siora Maria, cosa legge? Le riviste di gossip dal parrucchiere. E' esperta di vino nella misura in cui lo vede citato nelle rubriche (o nelle riviste) di ricette. A volte poi non legge neanche quelle: guarda la TV.

3) Educare i giovani al bere moderato, anzi (peggio), voler recuperare i binge drinkers ad abitudini di consumo più responsabili ha la stessa probabilità di successo dello svuotare il mare con un cucchiaio. Il vino non è roba da giovani. A meno che questi non siano particolarmente curiosi - e la curiosità, diceva Einstein, è il primo sintomo dell'intelligenza. Come s'informa questo prezioso target di consumatori (poco) presenti e (soprattutto, si spera) futuri? Un po' sulle riviste di settore. Moltissimo sul web. Sottovalutare i nuovi media, o (peggio) usarli in maniera approssimativa e dilettantesca è un errore che le aziende del vino continuano a fare. Un errore fatale.

4) Non illudiamoci: non è con campagne demonizzatrici del consumo di vino che si convincerà certa gioventù a non eccedere. Chi beve smodatamante lo fa per sballare. Punto. Se la trielina fosse buona, di moda e facesse lo stesso effetto, berrebbero quella (costa anche poco). Sanno benissimo che ubriacarsi, come drogarsi, li distrugge - smettiamola di trattare questa gente da poveri innocenti che non conoscono il mondo, per favore - ma non gliene importa nulla; lo fanno lo stesso. Qui l'informazione, la comunicazione del vino, non c'entrano e non servono. La psicologia sociale e la psichiatria, sì.

Detto ciò, torniamo a bomba: quali comunicazioni per il vino? 

 

ps: ho dimenticato i frequentatori di enoteche e ristoranti. Ma quelli sono gli unici, forse, che sappiano come raggiungere, e ai quali sappiamo (crediamo di sapere?) parlare.