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The Art Of Wine Storytelling: Per Un Nuovo Umanesimo Nella Narrazione Del Vino

November 04, 2025 in In vetrina

Da sempre, lo storytelling (=narrazione) del vino è considerato uno degli strumenti più potenti per il successo (anche commerciale. Anzi, soprattutto commerciale) delle aziende del vino. Peccato che pochi abbiano saputo adottarlo e usarlo con efficacia, e che oggi anche quel modo non abbia più lo stesso appeal di un tempo. La cosiddetta crisi del linguaggio del vino è in realtà solo il riflesso più superficiale di un cambiamento più sostanziale e profondo. E’ una crisi ontologica. Una crisi dell’essere umano che si confronta con il suo compagno di vita millenario, il vino. Da cibo a status symbol a bene voluttuario, a …non sappiamo più nemmeno noi cosa. Al punto che oggi si mette in dubbio perfino il concetto, l’idea del vino.

Un vino senza alcol, è ancora vino?

Alt.

Fermiamoci un attimo e riavvolgiamo il nastro. Dobbiamo capire come si è arrivati fin qui, che cosa finora ha funzionato e adesso ha esaurito il suo effetto, e perché e soprattutto come, oggi, occorre cambiare registro e contenuti. E’ quanto fa il prof.Attilio Scienza, uno dei pochi comunicatori del vino davvero efficaci del nostro tempo, non solo perché riesce ad affascinare le platee più disparate, senza pedanteria o troppi tecnicismi (lui che potrebbe permetterseli, avendo la più ampia cognizione di causa in materia di agronomia, viticoltura e altro). Ma perché sa comunicare (= mettere in comune), sa raccontare qualsiasi cosa nella maniera più coinvolgente e soprattutto semplice, lineare, chiara.

E’ un wine storyteller esemplare.

Per questo, il suo ultimo lavoro, “The Art of Wine Storytelling” edito da MammaJumbo Shrimp dell’infaticabile Stevie Kim, dovrebbe essere considerato una specie di manuale storico-pratico della narrazione del vino, un libro di studio per chiunque nel mondo si occupa di comunicazione del vino, per passione o per mestiere (e sì, è in doppia lingua, italiano e inglese. La crisi della narrazione del vino non riguarda solo noi italiani). Sono molti gli spunti di riflessione che suggerisce, i sentieri di pensiero che percorre invitando il lettore a seguirlo, ma il filo conduttore principale è solo uno, sempre lo stesso: un irrinunciabile richiamo all’umanesimo. Fuor di metafora: se vogliamo parlare di vino agli esseri umani dobbiamo farlo con parole umane. Sembra ovvio, ma non lo è. Negli ultimi vent’anni infatti, troppi si sono lasciati fuorviare dalle mirabolanti possibilità di comunicazione offerte dalle più recenti tecnologie, e nello sforzo di alzare sempre più l’asticella dell’effetto “wow!” per impressionare il loro pubblico, hanno finito per confondere il mezzo con il messaggio. Paradossalmente, questo tipo di scelta si è rivelata essere, in realtà, un (inconscio?) escamotage per sottrarsi ad un impegno ben più gravoso: raccontare qualcosa, raccontare se stessi. Quante cantine continuano a ripetere la solita stanca litania del nonno, del padre, del territorio, della tradizione, eccetera? Quante cantine, alla domanda “che cosa vi rende unici rispetto agli altri produttori?” (variante: “perché dovrei scegliere di bere proprio il tuo vino e non quello del tuo vicino?”) non sanno cosa rispondere? A queste aziende, l’invenzione dei reels, dei video, dei post su Facebook, dei Tik Tok, dev’essere sembrata una manna dal cielo, perché permetteva di distrarre il loro pubblico con belle foto ed effetti speciali, invece che con qualcosa di più sostanzioso, autentico e personale.

Cattive notizie, gente. Come spiega con pazienza il nostro prof., è proprio in questi aspetti che oggi si cela la chiave dello storytelling efficace. In un mondo che sta spazzando via vecchi simboli, i più giovani vanno alla ricerca di nuovi - e quando non li trovano, se li creano. Per questo, per conquistare i nuovi giovani e i nuovi consumatori, è necessario fare come si è sempre fatto, da Omero (ma anche prima, da Gilgameš ) in poi: raccontare una storia, con tutti i suoi elementi. L’eroe, l’ambiente, la sfida, il nemico, il dramma, la lotta, la conclusione. “Lo storytelling del vino necessita di un approccio multidisciplinare - si legge nel libro - che coinvolga tutti gli elementi alla base della sua produzione”. Il tutto declinato in ambito vitivinicolo, e dopo aver deciso quale approccio narrativo (tone of voice, si potrebbe dire) adottare: commedia, mistero, saggio scientifico…

E quale trama: tragedia, commedia, epica, melodramma. Per questo il narratore, che in un azienda può essere lo stesso produttore o la persona addetta all’accoglienza, deve avere una preparazione multidisciplinare: umanistica e scientifica, per sapere cosa dire, e come dirla. Quando rivolto ai giovani, lo wine storytelling deve riflettere l’ambiente e il tempo in cui vivono, con le sue sfide e contraddizioni.

Vivendo in un mondo interconnesso e in un momento storico decisamente complesso, non è più possibile adottare narrazioni taglia unica, che vadano bene per il Millennials come per i loro genitori. Questo - forse - poteva funzionare nell’epoca pre-Internet. Ai nostri giorni invece, sarà necessario sintonizzarsi di volta in volta sugli interessi e i valori delle persone che si hanno davanti. Tutto questo può sembrare desolantemente complicato, ma c’è una buona notizia: a prescindere dall’età dei consumatori (o aspiranti tali), il filo conduttore è sempre uno, il solito: la nostra comune condizione umana. L’emozione di un tramonto in vigna, la bellezza della condivisione di un pasto in compagnia, il piacere del brindisi sono eterni. Perchè sono umani.

Ripartiamo da qui.

Tags: Attilio Scienza, Mamma Jumbo Shrimp, Stevie Kim, art of wine storytelling
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Perché il vino è un prodotto della natura. E la natura ha i suoi tempi. Non i nostri, sempre così affannati, nevrotici, insufficienti. Per fare un grande vino ci vuole tempo, per fare un bambino ci vuole tempo, per fare del pane (quello buono) ci vuole tempo, tempo... e tranquillità. Anche per scrivere ci vuole tempo, perciò non pensiate di trovare nuovi post ogni santo giorno. Prendetevi tempo per leggere queste pagine. E lasciatene un po’ anche a me: ad essere pigro non c’è solo il vino.


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