Per quanto si pensi di saperne abbastanza, soprattutto su argomenti di nicchia e iper-nicchia, l’Italia del vino continua a sorprendere con le sue gemme nascoste e disseminate ovunque. Come il Vinosanto umbro affumicato.
Ovviamente è un vino- panda, un prodotto così limitato per produzione e diffusione che rischia di scomparire, e quindi è soggetto a stretta protezione (leggi: è un Presidio Slow Food, uno dei 10 di questa regione). Si tratta di una specialità dell’Alta Valle del Tevere, nell’area tifernate, e rimanda ai tempi in cui la casa contadina si componeva di pochissimi spazi, il più importante dei quali era la cucina.
In cucina si viveva: qui ci si ritrovava, si mangiava, spesso anche si dormiva (tutti insieme) per sfruttare la principale fonte di calore (il camino), e ovviamente si preparava di tutto. Per fare il tradizionale Vin Santo, le uve (Malfiore, Trebbiano, Malvasia, Grechetto, San Colombano e qualche altra) selezionate e raccolte da vecchi vigneti venivano appese alle travi delle cucine in coppiole (fili di cotone legati a una estremità in cui venivano messi due grappoli), e messe ad appassire nelle stanze più calde della casa, come appunto la cucina, dove il camino era sempre acceso. Lì restavano solitamente fino alla Settimana Santa, quando veniva recuperate, spremute e messe a fermentare e affinare in caratelli di legno anche centenari, dove il più delle volte permaneva il residuo dei vini precedenti: praticamente, la madre del Vin Santo. “Fallo e dimenticatene” dicevano i contadini, perciò il vino sostava in legno dai 3 ai 10 anni e oltre. Quando finalmente si riusciva ad assaggiarlo, oltre ai tradizionali profumi del vino passito poteva vantare anche un inconfondibile sentore fumé, che tuttora lo contraddistingue. Quello che abbiamo assaggiato noi era del 2016: un vino color ambra molto scusa, con note di fichi secchi e miele al naso e un gusto di frutta secca, liquirizia, caramello con una sorprendente nota di freschezza agrumata sul finale. Solitamente viene abbinato ai dolci secchi, o a base di mandorle, ma io lo proverei con qualche salume. O da solo, come coccola serale, a prescindere dal periodo dell’anno (i vini dolci sono eccellenti anche freschi). Per quanto anche oggi si tratti di una produzione molto limitata, l’interesse per questo vino sta aumentando, al punto che si è costituito un Consorzio di tutela. Quest’ultimo ha stabilito un disciplinare di produzione che prevede tra l’altro e un affinamento di almeno 5 anni in caratelli e l’utilizzo esclusivo di uve a bacca bianca con vitigni locali di Trebbiano Malvasia e Grechetto oltre a Malfiore (detto anche Dolciame) una varietà autoctona in via d’estinzione fino a qualche anno fa.
Oggi che i vini dolci non sono esattamente in cima ai pensieri di produttori, questo Vinosanto Affumicato dell’Umbria potrebbe perciò costituire una bella novità tutti quei wine lovers che sono appassionati di note dolci (ma non stucchevoli), e sempre curiosi di provare qualcosa di inaspettato.