Vignaioli che diventano tali dopo una vita passata a fare tutt’altro. Vignaioli che s’incaponiscono su vitigni che nessuno apprezza, su terreni che nessuno vuole, in denominazioni che non esistono (ancora). Vignaioli che fanno il vino a mano, dal campo alla cantina - senza mezzi agricoli, senza tecnologia, senza nemmeno una pompa. Vignaioli i cui vini non hanno mercato, ma la cui insistenza nel proporli, anno dopo anno, dopo anno, finisce per crearlo. Cocciuti come nessuno, ostinati fino alla testardaggine, incrollabili, determinati.
“Percours de Vignerons”, in italiano “Intrecci di vite” di Laure Gasparotto e Alain Graillot è un “Elogio alla caparbietà dei vignaioli”, come recita il sottotitolo del libro, ed è l’ultimo titolo delle Edizioni Ampelos (in uscita questo mese ). Come ben sa chi ha fa questo lavoro, “Realizzare un progetto di vita intorno alla vigna è una follia o una sorta di resilienza - constata Pierre Gagnaire* nell'introduzione - E’ un progetto che nasce dalla necessità assoluta di produrre un piccolo capolavoro incerto, che ha come materia prima delle viti e della terra (…) Questo mestiere, che non è un mestiere, è quasi stregoneria”.
In questo volumetto sono riportate le vite di tanti vignaioli, alcuni oggi famosi, altri meno (o affatto): da quella della voce quasi narrante di Alain Graillot a quella di Raymond Trollat, da Henry Marionnet a Anselme Selosse, da Angelo Gaja (unico italiano riportato) ad Alvaro Palacio, a Marie Thérèse Chappaz (unica vignaiola citata), e molti altri ancora.
Un racconto che si svolge in terza persona con numerose incursioni in prima (ottimo il lavoro di traduzione dal francese, affidato a Chiara Baietta), e che vuole essere innanzitutto un omaggio alle numerose figure di vignaioli conosciute da Graillot: amici e spesso anche maestri.
Ma in questo libro c’è anche un’altra protagonista, che risalta un po’ in filigrana sullo sfondo delle vicende personali dei vari personaggi: la Francia vitivinicola del secolo scorso, così simile all’Italia dello stesso periodo, entrambe afflitte dagli stessi guai e dagli stessi ritardi. E che malgrado tutto è diventata la Francia che conosciamo, perchè “Non esistono grandi terroir predestinati al successo, esistono solo delle forme di caparbietà della civiltà”.
Vale per la Francia, vale per l’Italia, e per qualunque altro Paese di viti, vini e vignaioli.
*chef 3 stelle Michelin