Relegata in soffitta dal disciplinare di produzione della Valpolicella quasi una ventina di anni fa, negli ultimi anni il vitigno Molinara si sta riaffacciando in molte produzioni. Con discrezione, senza clamori, un vino dopo l’altro si sta ri-conquistando un suo spazio.
La Valpolicella è sempre stata una zona di vini da uvaggi. Il culto del vino da monivitigno non appartiene al suo DNA di terra di agricoltori che per campare coltivavano di tutto: cereali, alberi da frutto, vigneti. In passato nei vigneti non si faceva troppa distinzione nemmeno tra una varietà e l’altra, e dato che Corvina, Rondinella e Molinara maturavano tutte più o meno nello stesso periodo, spesso si raccoglievano insieme. Nel tradizionale trio il ruolo della Molinara era più tecnico che estetico, diciamo: se la Corvina dava il frutto e la Rondinella i sentori floreali, la Molinara assicurava al vino finale sapidità e bevibilità. Una caratteristica, quest’ultima, che negli anni ’90 del secolo scorso finì per essere considerata più un difetto che un pregio, a causa della moda parkeriana dei vinoni iperalcolici e fruits-bomb, e dunque considerata superflua e sacrificabile sull’altare dello stile internazionale. Il trio ufficiale di vini della Valpolicella diventò così Corvina, Corvinone e Rondinella. Chi ancora ce l’aveva, era libero di mettere nell’uvaggio anche la Molinara, sia pure in quantità modeste (dal 5 al 10%, raramente di più) pescandola da un discreto ventaglio di altre uve rosse autoctone autorizzate per la provincia di Verona..
Oggi però una serie di (fortunate?) coincidenze sta decisamente giocando a favore di un ritorno di questa varietà.
Climate change. I Romani in Valpolicella usavano l’appassimento (in locali chiusi) per maturare uve che a queste latitudini e con il clima dell’epoca rimanevano sempre un po’ crude (non a caso la Corvina era nota anche con il nome di Cruina, crudina). In tempi più recenti, per fare il loro vino più importante i contadini preferivano raccogliere le uve in anticipo e metterle ad appassire, piuttosto che aspettare che finissero di maturare in un periodo (metà settembre -ottobre) in cui le piogge autunnali erano una costante. In queste condizioni la Molinara non poteva che apparire come un’uva poco interessante e abbastanza inutile. Con l’innalzamento delle temperature, le estati quasi tropicali e la scarsità di piogge degli ultimi anni anche l’umile Molinara, che ama i luoghi soleggiati e asciutti, si è trovata molto più a suo agio, arrivando a sfoggiare al tempo della vendemmia dei grappoli quasi indistinguibili (per colore) da quelli della Corvina.
Il successo dei rosati. Vinificata in purezza, la Molinara regala dei fantastici pink wines: freschi, sapidi, perfetti per l’estate.
Il successo degli spumanti. Scartata per la sua acidità in anni in cui il must erano rotondità e morbidezze spesso eccessive, ora questa caratteristica la rende un’ottima uva anche per fare bollicine. Rosa. Il massimo del trendy.
Sono i corsi e ricorsi storici della viticoltura: ciò che un tempo veniva escluso, domani potrà tornare di nuovo utile, mentre ciò che oggi viene richiesto perchè va di moda, domani sarà venuto a noia. E la ruota continuerà a girare.