Sulle rotte delle Malvasie
Nelle sue millenarie trasmigrazioni, in viaggi, spostamenti, avventure…l’uomo non era solo. Con se’ aveva spesso un’ottima e fedele amica.
L’uva.
Quello tra la vite e l’uomo è un rapporto che affonda le sue origini nei famosi tempi biblici, e probabilmente anche prima. Uno degli studi più affascinanti e ricchi di sorprese che si possano fare è sull’origine dei vitigni e sulla loro evoluzione attraverso i secoli. Seguire le loro tracce significa spesso seguire anche le vicende storiche dell’uomo, e viceversa, e si potrebbe quasi raccontare un ‘epopea per ciascuna varietà di una certa fama o diffusione. La storia della Malvasia - un nome comunemente attribuito ad un vasto gruppo di uve - ha del romazesco, ed è strettamente intrecciata con la vita quotidiana, le esplorazioni, le conquiste e i commerci di Venezia. A ripercorrerne le tappe, le vicende, gli uomini e i costumi del tempo è un interessante libretto, scritto a due mani da due studiosi di prim’ordine: “Sulle rotte delle Malvasie” per le stampe di Kellermann Editore nella collana “Km 3”, è opera di Angelo Costacurta e Sergio Tazzer. Il primo, autore di molte pubblicazioni scientifiche e storiche, è un ricercatore di fama internazionale: per anni ha diretto il Centro per la ricerca in viticoltura di Conegliano e ha insegnato nelle università di Padova e Udine. Il secondo, giornalista, è stato direttore della sede RAI del Veneto ed è presidente del Centro Studi sulla Grande Guerra (CEDOS). La passione per la storia, il vino, le uve li ha portati a cercare di ricostruire la complessa e a volte contorta vicenda del Monemvasias o Monovasia, un vino originario della città fortificata omonima, posta sul Peloponneso e caratterizzata da un’unica porta d’ingresso (da cui il nome, in greco), mentre una lingua di terra di 400 m la collega alla terraferma. Vino dal colore dell’oro, profumato e di una dolcezza suadente, la Malvasia è il vanto dei suoi cittadini, e diventò presto anche un prodotto ricercato e apprezzatissimo anche dai veneziani più benestanti, che dai mercanti della Serenissima potevano averlo solo a caro prezzo, “perché a Venezia «el bon marcà rovina le scarsèle», il prezzo basso rovina le tasche”. Dal Peloponneso all’isola di Candia (Creta) e poi nel resto del mondo, la Malvasia ebbe un tale successo che “quando i viticoltori ebbero preso piena coscienza dell’importanza del vitigno, molte varietà vennero battezzate con il nome di un vino prestigioso”. Oltre a ricostruire le rotte del vitigno, il libro offre un circostanziato e a tratti curioso spaccato della vita della Serenissima, tra mude e dogi, banderuole e bacari.
A dimostrazione della fortuna di un vitigno che, nei secoli, si è ritrovato a far parte di una famiglia numerosissima, il nome Malvasia è presente anche in molte altre lingue (Malmsey in inglese, Malvoisie in francese, Malvasier in tedesco, Malvagia in spagnolo ecc); come spiegano gli autori, “le Malvasie costituiscono un gruppo varietale molto eterogeneo composto da numerosi genotipi, spesso di origine diversa, che in comune hanno solo il nome Malvasia”. Solo in Italia, le uve con questo nome iscritte attualmente nel Registro nazionale delle varietà, e quindi coltivabili, sono ben diciannove. Con un linguaggio sempre piano e uno stile scorrevole, il libro alterna la ricostruzione storica alle spiegazioni scientifiche, rivelandosi utile per i tecnici e intrigante per i wine lovers. Una lettura consigliata.