A volte per costruire il futuro bisogna scavare nel passato. Letteralmente.
“La qualità di un vino è sotto i nostri piedi”. Lo diceva e lo dice il prof. A.Scienza e noi lo scrivemmo quasi 10 anni fa. Per molto tempo l’aspetto pedologico di un vigneto è stato visto soprattutto in funzione agronomica, e pochi in genere pensano di approfondirlo oltre quelle conoscenze necessarie per fare un buon impianto o re-impianto. In tempi più recenti però, complice la fase bio variamente intesa, al suolo è stata finalmente riconosciuto il ruolo da protagonista che gli spetta. E’ infatti nel suolo e nella sua geologia che vanno ricercati quegli elementi identitari che poi in un vino fanno la differenza . E quando a studiarlo lo fa un’azienda storica come Bertani Domains, è segno che si è giunti ad un punto di svolta, dove lo stile aziendale fa davvero un passo indietro e lascia al territorio tutta la scena. Lo abbiamo visto alla presentazione della nuova linea Bertani Cru. Prima dell’uva vengono il suolo e le interazioni vitigno-territorio, in cui ogni particella fa storia a se’: anni di studio e prove hanno permesso di individuare in due luoghi precisi della Tenuta di Novare, il vigneto Le Miniere (4 ha) e l’Ognisanti, (poco meno di 3 ha) l’insieme di quelle caratteristiche che permette ai vitigni, in particolare alla Corvina, di esprimersi al meglio. in questa zona, ha spiegato direttore operativo Andrea Lonardi, “la Corvina in particolare subisce l’influenza della matrice del suolo”. Perchè l’obiettivo enologico era quello di realizzare due vini da uve fresche.
Il Valpolicella “Le Miniere di Novare” e il Valpolicella Superiore “Ognisanti di Novare” rappresentano così tutto il classicismo dell’azienda Bertani, famosa per la sua coerenza di stile negli anni - tradizionale, pulito, senza fronzoli, comprensibile -. Uno stile che può apparire terribilmente out o incredibilmente in a seconda del momento storico e delle mode del gusto.
Quello delle miniere è un vigneto che si sviluppa su due terrazze poste proprio sopra il cunicolo di una miniera di ferro e manganese, attiva fino ai primi del ‘900: oggi è ancora visibile il suo ingresso, ma non è visitabile. I terreni qui sono calcari con scaglia rossa sovrastate da circa un metro di argilla rossastra. Diverso il suolo del vigneto Ognisanti, 8 terrazze poste alle spalle della chiesetta ora sconsacrata di Ognisanti (XVI sec.) che da’ nome al cru. Qui il calcare è dello stesso tipo di quello dello Champagne (per natura, origine e composizione).
I primi vini frutto di questa nuova linea di pensiero, come detto, sono vini da uve fresche, e già questa è una notizia, perchè chi si sognerebbe di creare un evento stampa per presentare un vino quotidiano? Tale infatti è sempre stato percepito - sbagliando - il Valpolicella. In realtà, una volta che si è deciso di rinunciare alla rete di protezione (in certi casi vero e proprio maquillage) dell’appassimento - breve, medio o lungo, small, large o extralarge, più o meno assistito e programmato -, tutto quello che ti rimane è la qualità dell’uva di partenza e la capacità di vinificarla senza rovinarla.
Bertani Cru è solo l’inizio di un nuovo capitolo per l’azienda (altri vini arriveranno dalla settantina di ettari della tenuta) e per la denominazione stessa. A questo punto non resta che augurarsi che altri in Valpolicella decidano di partecipare alla sua stesura. Di tornare alle radici.
Valpolicella Classico “Le Miniere di Novare” 2018: uvaggio di Corvina (80%), Corvinone (20/%) e Rondinella (10%). Colore rubino leggero e brillante, con sfumature viola, profuma di mora, ciliegia, ribes, viola. In bocca il gusto è coerente, fruttini rossi con accenni di floreale scuro, è equilibrato, lungo, pulito, con grande bevibilitá determinata da una spalla acida ben presente. La zona di Negrar si affaccia tutta da quella finestra incorniciata di viole in mezzo alla mentuccia del prato.
Valpolicella Classico Superiore “Ognisanti di Novare” 2017: uvaggio di sole Corvina e Rondinella. I suoli molto ricchi di calcare, sovrastati da uno strato coltivabile più sottile, che porta le radici a spingersi in profondità anche per molti metri regala uve più gentili ma di maggior struttura. Il tannino è persistente ma delicato, al naso è più balsamico che fruttato rosso (ciliegia e marasca), con sfumature di fiori secchi. Al gusto è forse un po’ caldo, ma diretto e riconoscibile, sapido, lungo e fine.