Me lo disse all'alba di quella rivoluzione che il web e i suoi strumenti avrebbero portato anche nel mondo del vino, nel 2004, quando lo intervistai per un servizio che stavo preparando sul tema "La comunicazione e le aziende del vino", perché anche su quell'argomento aveva le sue idee. Giacomo Rallo, fondatore dell'azienda Donnafugata, andatosene all'improvviso, nelle prime ore di questa giornata, è stato uno dei grandi protagonisti della rinascita della Sicilia del vino: uno di quelli che ci credeva, alla sua terra, e ha sempre lavorato e lottato perché essa stessa si rendesse conto di quanto vale. Un cavaliere di nome e di fatto prima ancora che il presidente della Repubblica lo insignisse tale nel 2006, per meriti sul lavoro. Per questo oggi voglio riproporre che cosa mi disse, in occasione di quella intervista:
"Nel nostro settore direi che bisogna fare comunicazione per in-formare e per formare sia il consumatore già acquisito che quello da acquisire. Non dimentichiamo che il consumatore che si va sempre più avvicinando al vino e ne sta facendo un suo avanzamento culturale – e questi sono soprattutto i giovani a farlo – ha fame di notizie, che quando vengono assimilate diventano cultura. Devono essere informati per essere formati. E qui viene fuori il punto dolente della produzione italiana, che, a mio avviso, ha avuta poca sensibilità nei confronti di questo fenomeno. Non mi stancherò mai di ripetere che il nostro handicap nei confronti dei paesi emergenti – Australia, California, Cile – è che in questi c’è un mare di comunicazione, che arriva e supera il 10 per cento dei loro fatturati. Una comunicazione fatta per formare e informare. Solo con la linea mailing a volte arrivano anche ad un 3-4 per cento di fatturato. E’ talmente assortito il canale “informare per formare” che riesce ad abbracciare tutto lo scibile che un’azienda può offrire: dall’andamento vendemmiale alle operazioni in cantina… Inoltre, hanno un asso nella manica che noi stiamo sfruttando poco o niente: gli abbinamenti con il cibo, dove si sviluppa nel consumatore una curiosità enorme, ma anche una grande fantasia dell’azienda".
Quali sono le strategie che danno i risultati migliori?
"Quelle che portano ad associare la cultura al vino. Anche perché si creano delle sinergie, delle osmosi straordinarie. Il vino è cultura. Ed è l’unico che può portare messaggero delle valenze di un territorio, perché viaggia, va ovunque. A Singapore, Tokyo, stappare una bottiglia di vino italiano, che ha una sua peculiarità, tale da far pensare a chi la consuma al suo territorio d’origine, può far scattare delle curiosità e diventare un motivo di turismo".
Il territorio è quel plus valore che gli altri non hanno e bisogna sapersi giocare…
"Sì, ma non passivamente. L’Italia è cosparsa di territori positivi per offerta culturale. Non vanno pensati come qualcosa di inerte, va offerto: se io do vino siciliano, offro anche valenze e cultura siciliana, siti archeologici, paesaggi eccetera.
L'Italia è un territorio con una discontinuità felice".