Nei giorni scorsi è stato ufficialmente presentato un bel libro, ben fatto e ben scritto: "I segreti del territorio, dei vigneti e del vino Amarone della Cantina Valpantena", di Diego Tomasi e Fabrizio Battista. A dispetto del titolo - probabilmente la cosa meno riuscita dell'intero lavoro -, non si tratta di una delle solite pubblicazioni autocelebrativa ammantate da una patina di scientificità. E' il risultato di uno studio iniziato nel 2009 e interamente finanziato dalla Cantina Valpantena, storica realtà cooperativa di questa sottozona della DOC (è stata fondata nel 1890), allo scopo di conoscere meglio, con gli strumenti della scienza contemporanea, il territorio che gestiscono per mano dei loro soci. Corposa perciò la parte geologico-agronomico-pedologica, alla quale sono dedicati due terzi del volume con approfondimenti sui vitigni e il loro comportamento nelle diverse situazioni ambientali e colturali, i diversi terroir della Valpantena (alla quale andrebbe dedicata molta più attenzione comunicativa di quanto non si faccia oggi), carte aromatiche delle diverse uve,ecc. Un lavoro di zonazione scrupoloso portato avanti da enti di ricerca come il CRA-VIT di Conegliano, Centro di Ricerca per la Viticoltura, e il Centro di Sperimentazione in Vitivinicoltura di Verona, che alla fine ha prodotto una fotografia precisa e dettagliata di quello che è oggi la Valpantena vitivinicola.
Se la sezione scientifica è interessante, quella storico-sociologica non lo è meno, anzi. Nei primi due capitoli ("La Valpantena: un territorio di uomini e di vigneti" e "Valpantena, terra di grandi vini e di grandi tradizioni") viene ricostruita la storia sociale ed economica di questa valle, l'importanza della viticoltura e il ruolo degli Ordini religiosi (ai quali si deve la ripresa dell'agricoltura dopo il grave dissesto idrogeologico causato dalla fine dell'impero Romano e le successive invasioni barbariche), fino alla nascita della Cantina e alle vicende contemporanee.
Ma il capitolo che mi è piaciuto di più è stato il settimo, nel quale il ricercatore Diego Tomasi spiega il ruolo del paesaggio nella qualità oggettiva e soggettiva di un vino. E' un tema che condivido al 100% e non capisco perchè sia, invece, così spesso sottaciuto (per non dire omesso, sottovalutato). Quando si dice che il bel paesaggio fa il buon vino, non si cita solo una frase d'effetto, tanto suggestiva quanto vana. Si dichiara una verità oggettiva, scientifica.
Scrive Tomasi: "Da una recente indagine* apprendiamo che solo nel 50% dei casi studiati è unicamente la qualità del vino a determinare il punteggio... Vi sono quindi degli attributi considdetti "metafisici" (che vanno cioè oltre la composizione del vino e dei suoi pregi organolettivi quantificabili) e che trovano riferimento proprio dei fattori immateriali non misurabili... Da queste considerazioni prende forma l'importanza del paesaggio e il ruolo che esso svolge...la contemplazione di un vigneto in grado per i suoi caratteri e per il contesto circostante di creare intensi stati d'animo produrrà nel consumatore una predisposizione inconscia a premiare il suo prodotto, rispetto ad un vino del quale non si hanno punti di riferimento".
Siamo entrati in una nuova fase, nel mondo del vino consumato: dall'esperienza sensoriale a quella emotiva. Ed è decisamente più facile emozionare con la vista un bel paesaggio che con gli sproloqui di guru (più o meno famosi) della degustazione.
Meno fumo (e specchi) e più terra, dunque. "Il vino ha bisogno di luoghi in cui identificarsi, essendo il suo valore intimamente legato alla qualità dei territori". Ecco perchè diventato vitale che gli stessi produttori si facciano difensori a oltranza dei loro territori, non importa quanto grandi (o piccoli) essi siano: ogni attentato all'integrità di un'area a vocazione viticola si traduce in uno scadimento della qualità percepita dei vini che lì nascono, e presto finirà per trasformarsi anche in una flessione del loro consumo (e quindi delle vendite).
Meno (bel) paesaggio dunque = meno soldi che entrano in cassa. Se in questi ultimi anni abbiamo imparato che c'è un quinto senso di cui dobbiamo tener conto quando assaggiamo un vino, l'umami, è arrivato il momento di prendere in considerazione anche il 6° senso di un vino: il paesaggio.
*(Hodgson, 2008)