La previsione arriva dagli esperti di Vinexpo: a partire dal 2018 il Regno Unito supererà la Francia come secondo più grande mercato di vino del mondo in termini di valore e si piazzerà alle spalle degli USA. Questo significa che nel giro di pochi anni i britannici spenderanno in vino ancora più soldi di quanto non facciano già ora. Peccato che l'astronomica cifra ipotizzata - 11 miliardi di sterline l'anno - sia dovuta più alle altrettanto astronomiche tasse che i consumatori di Sua Maestà pagano su ogni bottiglia, che non ad un aumento in generale del numero di bottiglie vendute, o all'aumento di prezzo delle stesse. Entrambi questi fattori sono presenti, ovviamente, ma il peso delle tasse è preponderante. Never mind, come si dice, la passione per il vino è ormai un dato di fatto, e quel che più conta è che la gente sembra aver superato la fase iniziale relativa a quel sentimento di inadeguatezza - paura di sbagliare che coglie chi vorrebbe semplicemente bere vino ma è consapevole di non capirci nulla: ora i britons col vino si divertono e basta. Si trovano nella privilegiata posizione di poter godere della più vasta scelta possibile di bottiglie da tutto il mondo: solo a Londra è possibile trovare wine bar specializzati nelle tipologie di vino più diverse (sparkling only, Italian wines only, nat wines only).
Per chi vende vino è una lotta all'ultimo sangue contro un mondo di concorrenti.
Per chi si limita a berlo, un autentico bengodi. Perchè in storici paesi produttori come la Francia* questo non accade? La risposta è dell'autrice dell'articolo da cui ho tratto queste note: "L'ultima volta che sono stata a Bordeaux, sembrava appena appena accettabile chiedere un vino proveniente dall'altra parte del fiume, ma un'offesa proditoria tentare di ordinare un vino straniero - e per straniero intendo da una qualsiasi altra regione della Francia. Noi, invece, abbiamo sviluppato una grande sete per l'esplorazione e, attraverso di essa, stiamo diventando più esperti, divertendoci molto di più".
Passando da una testata all'altra, ma rimanendo sempre nel mondo anglofono, su Forbes, l'amica wine writer Cathy Huyghe affronta (su ispirazione di Damien Wilson, direttore del Wine Business program at the Burgundy School of Business in Dijon, Francia) "la domanda più importante da fare ad un produttore": "Chiedetegli di raccontarvi la sua storia... E ora, chiedetegli di raccontarvela un'altra volta senza citare il vino".
E' meno facile di quel che sembra, e può essere molto divertente, o molto illuminante, perchè un tale approccio dovrebbe costringere il produttore a riflettere sulle ragioni più profonde del suo lavoro.
Perchè è diventato quel che è diventato? Le risposte, soprattutto le più sincere, possono nascondere una storia decisamente interessante...oppure terribilmente banale e deludente.
In ogni caso, è un esercizio utile contro l'automatismo delle risposte, quel pernicioso meccanismo che induce a dare sempre le stesse risposte a qualunque persona.
L'appiattimento della comunicazione del vino da parte di chi lo produce comincia anche da qui.
* in Italia siamo molto più aperti e tolleranti, qualche vino di altre regioni o di altri Paesi si riesce a trovare. Qua e la'. Col contagocce. E solo nelle 4 o 5 città più grandi. Forse. :-)