"Liberate i vigneti". O no?

Esiste in America un movimento che si chiama Free the grapes : il suo obiettivo dichiarato è quello di garantire al consumatore finale la scelta dei vini migliori, grazie alla libera circolazione degli stessi, finalmente privi dei molti vincoli, fardelli e balzelli che i diversi Stati si sono inventati nel tempo (compreso il famoso three tier system, di cui il wine blogger Tom Wark fa un'interessante disamina qui).

In Europa siamo andati oltre: free the vineyards!

Questo della liberalizzazione dei diritti d'impianto  (prevista il 31 dicembre 2015) è una problematica molto sentita a livello produttivo (e quindi politico), e le posizioni all'interno dell'UE non sono nè univoche nè serene, perchè in gioco c'è il futuro dell'Europa viticola.

Questo, almeno, era il titolo del convegno tenutosi a Bruxelles qualche giorno fa, e al quale è intervenuto tra gli altri come relatore anche il prof. Davide Gaeta, docente di politica vitivinicola all'Università di Verona, oltre a Pasquale De Meo (direttore generale di Federdoc), Josè Ramon Fernandez (Segr. generale del CEEV, l’organizzazione europea dell’industria del vino) e Daniela Zandonà di EFOW, che riunisce le organizzazioni consortili d’Europa.

Quelle che seguono, sono alcune delle riflessioni del prof. Gaeta*, così come ce le ha trasmesse.

D: Perché il settore vitivinicolo non parla la stessa lingua in tema di liberalizzazione dei diritti di impianto?

R: "Perché l’Europa del vino è come quella dell’euro: c’è a chi fa comodo e chi lo patisce. A qualcuno lo status quo piace e ha validi argomenti per asserirlo, ad altri piacerebbe rivoluzionare ed aprire"

D: Lei cosa ne pensa?

R:“Io insisto nel ribadire che è un’eccezionale e favorevole occasione per ragionare su un nuovo sistema di controllo dell’offerta, e ho la speranza che questa opportunità riguardi tutta la tematica dei prodotti tipici, se non dell’intera PAC”.

D: Come intenderebbe la liberalizzazione?

R: "Come una regolamentazione lasciata libera alla sussidiarietà, a chi cioè si occupa del mercato tutti i giorni. Che questo attore sia il Consorzio di tutela, l’interprofessione, la Regione o altro lo lascerei decidere a ciascun Stato membro".

Di tutt'altro avviso gli altri relatori, in particolare De Meo (la Federdoc sostiene da anni lo status quo del sistema), mentre Zandonà ha affermato che "la liberalizzazione devasta un sistema di protezione che sinora ha protetto il viticoltore, specie di piccole dimensioni, ai danni di un sistema “industriale” di acquisti che funziona fino a che l’impresa acquirente ha interesse a tenerlo in vita. Ma poi in un eventuale braccio di forza il danno ed il rischio è tutto spostato sulla parte debole del sistema".

Diverso invece il punto di vista del CEEV: Fernandez ha dichiarato che le apparenti dicotomie tra grandi e piccoli attori del sistema devono essere superate, che è ora di lavorare per un obiettivo comune e che devono essere le organizzazioni di filiera a governare il sistema. La sua posizione è tuttavia contraria a qualsiasi plafond comunitario sui diritti di impianto, dichiarando che esso è un’anomalia che va annullata una volta per tutte.

Come andrà a finire? Sull'argomento si stanno scatenando analisti e giornalisti, mercanti e produttori (come questo e questo): il topic appassiona al pari di quello sulla definizione dei vini bio-qualcosa.

Mi permetto solo una nota di realismo: qualunque decisione verrà presa, sarà come la storia della definizione del cammello.

Il quale, per chi non lo sapesse, in realtà è un cavallo...disegnato da un comitato.

 

*disclosure: l'autrice di questo blog conosce personalmente il professore, che apprezza come docente e soprattutto come produttore della Valpolicella Classica