Ci sono poche cose che provocano un subitaneo attacco di orticaria in un produttore di vino. Una di queste sono le commissioni di degustazione delle Camere di Commercio.
Composte da tecnici ed esperti degustatori iscritti negli appositi albi , queste commissioni hanno il compito (e la responsabilità) di stabilire se un vino può fregiarsi della Doc (oppure no), ovviamente prima che venga messo in commercio. Nulla da obiettare, in teoria; nella pratica, non si contano i casi di incavolatura - per usare un eufemismo - dei produttori nei confronti di certi responsi. Casi che, in qualche situazione, hanno sortito effetti collaterali devastanti per la denominazione stessa.
In Veneto, con la pubblicazione del D.M. 11/11/2011 veniva completata l'emanazione dei decreti applicativi previsti dal D.Lgs 61/2010 (relativo alla tutela delle Doc e delle Igt); a partire dal 1 gennaio 2012, enti come Valoritalia e Siquria oltre all'attività di certificazione, controllo e vigilanza sulle produzioni e all'eventuale distribuzione dei contrassegni di Stato - le famose fascette - avrebbero dovuto gestire anche il procedimento di analisi chimico fisica e organolettica dei vini a D.O. (compreso il servizio di prelevamento dei campioni), nonchè l'Elenco dei Tecnici e degli Esperti degustatori presso la Regione.
Tutti compiti che fino ad oggi erano di pertinenza delle Camere di Commercio, e che con il nuovo anno non dovrebbero più esserlo.
Credevate che si riuscisse a rispettare la scadenza? Ovviamente no.
Puntuale come le tasse (vecchie e nuove), ecco giungere notizia della proroga: "La Giunta veneta ha prorogato fino a tutto giugno 2012 il funzionamento delle Commissioni di degustazione dei vini a Denominazione d'Origine - recita il comunicato stampa ufficiale piovuto quest'oggi in casella di posta elettronica -individuando per ciascuna i presidenti ed i relativi segretari nonchè i rispettivi supplenti e formulando gli elenchi dei degustatori abilitati ad operare. “Il provvedimento – ha sottolineato l'assessore all'agricoltura Franco Manzato – consente di assicurare la piena funzionalità delle Commissioni stesse dopo il decreto ministeriale che ha stabilito le nuove linee guida per la nomina, la composizione ed il funzionamento di questi organismi, provvedimento emanato nel novembre scorso, ma pubblicato il 20 dicembre”. La costituzione delle commissioni, la nomina dei presidenti e relativi sostituti e dei segretari e relativi sostituti era di competenza del Ministro delle politiche agricole, mentre spettava alle singole Camere di commercio farsi carico dell’operatività delle stesse e della tenuta degli elenchi dei degustatori. Con il decreto ministeriale di novembre, è stato stabilito che la costituzione delle Commissioni sia effettuata dalle Regioni, che devono anche istituire l’”Elenco dei tecnici degustatori” e l’”Elenco degli esperti degustatori.
Dall'1 gennaio i vini devono inoltre essere sottoposti alle procedure gestite dalle strutture incaricate dei controlli. Queste ultime hanno segnalato l’urgenza di poter operare già a partire dai primi giorni di questo mese, per far fronte alle costanti richieste di certificazione che pervengono degli operatori vinicoli.
“Di qui il provvedimento della Giunta – ha spiegato Manzato – considerato che non c'erano i tempi necessari per individuare e definire i criteri e le modalità sia per la costituzione e gestione delle Commissioni di degustazione, sia per l’aggiornamento degli elenchi dei degustatori, senza pregiudicare l’attività di certificazione”.
In sintesi estrema, la spiacevole verità: le degustazioni continueranno a essere fatte dalle solite commissioni delle CCIAA. Le quali sono sì composte da bravissime persone, tecnici (enologi e assaggiatori) volonterosi, ma troppe volte assuefatti e appiattiti su una routine che portano avanti da anni, senza più stimoli, voglia di aggiornarsi, di capire che non solo cambiano i gusti, ma anche i vini e, persino la conoscenza dei loro territori.
Infatti, più questi ultimi vengono studiati e conosciuti, più cresce la sensibilità dei produttori nei confronti delle loro uve: di come queste ultime riescano ad esprimere i suoli e le annate, e di come tali diversità vadano rispettate. Per quanto rigidi, non mi pare che i disciplinari di produzione arrivino a stabilire quali e quanti debbano essere i punti-colore di un Chianti o di un Soave, o il dettaglio di profumi di un Aglianico. Eppure, quante volte un vino fedele al territorio d'origine è stato messo rivedibile solo perchè non corrispondeva alle caratteristiche organolettiche (ascrivibili ad un vecchio modo di intendere e fare enologia) cui i membri della commissione erano abituati per lunga consuetudine?
Il passaggio delle consegne della gestione delle commissioni d'assaggio dalle CCIAA agli enti certificatori avrebbe potuto (dovuto?) segnare anche una svolta nella cultura e nei requisiti richiesti agli assaggiatori stessi: un ricambio (anche solo generazionale) che si è fatto ormai necessario, non semplicemente auspicabile.
Invece, tutto resterà come prima. Almeno fino a giugno 2012.