E' stato uno dei momenti top dell'ultimo EWBC: la grande degustazione di vini dell'Oriente Mediterraneo. Turchia, Georgia, Armenia, Libano illustrate da due mostri sacri della critica enologica internazionale come Tim Atkin MW ("giornalista, presentatore tv, fotografo e giudice del vino con un iPod ben fornito" scrive nella sua autopresentazione in 140 caratteri) e Charles Metcalfe ("giudice, scrittore e sovente cantante del vino. Fondatore dell'IWC, autore della Guida al Portogallo dell'appassionato enogourmet").
Compostamente seduti e attentissimi come disciplinati scolaretti, i circa 300 wineblogger hanno potuto assaggiare vini da vitigni autoctoni e internazionali, che spesso colpivano più per la loro storia che per le loro qualità intrinseche. Vini non sempre immediati, ma che varrebbe la pena assaggiare più spesso. Di seguito alcune note prese al volo.
Turchia: Kavaklidere. Narince Chardonnay 2011 " Cotes d'Avanos". Dal primo produttore privato di vino in Turchia, con vigneti che si estendono per oltre 560 ettari nelle più importanti zone viticole dell'Anatolia e gli permettono di produrre più di 50 vini, viene questo blend di due uve bianche, cresciute nei vigneti della Cappadocia. Il narince è un autoctono turco non esplosivo al naso e in bocca ma non privo di finezza, interessante, dalle sfumature olfattive molto esotiche d'incenso e altri legni profumati se fosse vinificato in purezza: la presenza dell'onnipresente chardonnay (e la lavorazione in barrique dalla soverchiante vanigliatura) rende perciò questo vino accattivante per un pubblico internazionale, ma meno territoriale di quel che si vorrebbe.
Sevilen. Kalecik Karasi "Plato" 2011 Anche la Sevilen è una grande cantina, giunta ormai alla terza generazione di produttori. I suoi vini godono del favore di giudici e critici illustri, che li gratificano di numerosi premi internazionali. Del resto, lo stile è quello dei vini bordolesi (anche il consulente enologo è di quelle parti): rosso scuro ma non denso nel bicchiere, frutta rossa dolce al naso, una discreta freschezza in bocca.
Georgia: Teliani Valley. Qvevri "Samshvenisi" 2010. Spostandoci un po' più in la', cambiando nazione, terreni e vitigni, il discorso comincia a farsi più interessante. Già in passato ho avuto occasione di assaggiare alcuni vini da cultivar indigene della Georgia, e l'impressione era stata profonda. Il qvevri non è però un vitigno, ma una tecnica di vinificazione tradizionale (ovvero la fermentazione in quelle grandi anfore di terracotta interrate che piacciono tanto ai nat-wines producers di casa nostra); il vino in questione è un blend di uve autoctone georgiane (dai nomi impronunciabil quasi quanto quelli dei vitigni turchi). I profumi sono ricchi e sontuosi, rimandano al floreale bianco e giallo, alla frutta esotica, a spezie orientali (sandalo) che si ripresentano in bocca, sia pure su una struttura un po' esile.
Vinoterra. Saperavi 2009. Anche questo è rosso da anfora, dal colore brillante e i profumi che richiamano l'incenso. In bocca però è severissimo, austero, compatto, con sentori di ciiegia, cedro e (molto ben nascosta) un accenno di menta fresca, che però cede subito il passo ad un finale tendente all'amarognolo.
Libano. Chateau Ka. Fleur de Ka 2006. Se la Georgia può vantare una familiarità col vino vecchia di 8000 anni, il Libano ne vanta una più giovane di appena un millennio. Le uve internazionali coltivate sono più di 25, su una superficie che supera di poco i 2000 ettari; in tutto, sono una quarantina le aziende produttrici, per un totale di 7 milioni e rotti di bottiglie/anno (per un approfondimento sui vini libanesi, leggere da qui... in poi). Questo "Fleur de Ka" è un blend cabernet-merlot-syrah molto equilibrato, con profumi scuri ed erbacei, una bella bevibilità e un curioso modo mediterraneo di presentarsi da... internazionale. Intrigante.
Domaine de Tourelles: "Marquis de Beys" 2006. Syrah e cabernet anche in questo secondo vino rosso scuro e dai profumi balsamici di cedro, sfumati di fruttini neri che al gusto si presentano con una struttura di un certo rispetto.
Armenia. Zorah. "Karasì" 2010. Recenti ritrovamenti archeologici hanno permesso di stabilire che, ad oggi, la cantina più antica del mondo era operativa in questa terra, più di 6000 anni fa. Anche qui la pratica di vinificare in anfore era piuttosto diffusa, e anche qui genetisti viticoli e winemakers trovano di che divertirsi, in mezzo ad una schiera di vitigni indigeni dalle potenzialità tutte da esplorare. Il vino presentato all'assaggio dal suo stesso produttore Zarik Garibiah (che passa l'anno dividendosi tra la casa in Italia e la proprietà in Armenia) è di una varietà solo locale, non imparentata con nessuna altra al mondo: l'areni nero, che Garibiah coltiva e vinifica assistito da due consulenti italiani, l'agronomo Stefano Bartolomei e l'enologo Alberto Antonini. La bottiglia dalla raffinata etichetta, racchiude un vino affatto ruffiano e di grande interesse. Scuro nel bicchiere e altrettanto nelle note olfattive, con un richiamo di mandorla e prugne, è severo al gusto, tannico ma con equilibrio, lungo e molto elegante. Un vino che non sfigurerebbe accanto a molti pinot noir.