Continua la nostra disamina su quelle che sembrano essere le più recenti tendenze nel mondo del vino. E' ora la volta di una nuova mania: i vini low alcohol.
Dealcolare. Ci fu un tempo in cui sembrava che la gente bevesse solo vini quasi trasparenti, fruttati e leggerissimi, quasi eterei, profumati e inconsistenti. Bianco-carta era il colore must, al punto che gli enologi divennero maestri nell’uso del carbone decolorante. Poi, come spesso accade, il pendolo delle mode e del gusto si spostò all’estremo opposto, e improvvisamente tutti vollero vini coloratissimi. I bianchi dovevano sfoggiare nuances paglierine che andavano dal giallo intenso all’oro antico, i rossi dovevano apparire nero-violacei, densi, compatti, marmellatosi, e con gradazioni da superalcolico mancato. L’alcol in particolare era considerato un elemento imprescindibile della qualità di un vino (fosse o no in equilibrio con gli altri elementi).
Ai nostri giorni - evviva la coerenza - l’alcol è improvvisamente diventato il Grande Nemico. Qualcosa da combattere a testa bassa e con tutti i mezzi. E allora, alla disperata ricerca di una quasi impossibile quadratura del cerchio, ecco che si ricorre alla tecnica. La Natura ci regala uve rosse a 22 gradi Babo (pari a 14 e rotti gradi a fermentazione alcolica terminata)? nessun problema, si può sempre dealcolare. Gli americani lo fanno da anni, e nessuno ha mai perso il sonno per questo. “Vino buono da bere e buono da pensare”? Pfui. Markets (and laws!) are king.
Certo, c’è chi ottiene ugualmente un vino eccellente con una bassa gradazione anche senza giocare a fare il piccolo chimico (o fisico) in cantina. Però ha impiegato qualche anno per scoprire l'arcano (suo) e mettere a punto la formula, e soprattutto lavora sodo, ancora più sodo di prima, nel vigneto. E allora!.
Naturalizzare. Gli eccessi non fanno mai bene, sono parenti stretti del fanatismo. Sempre a proposito di esagerazioni, sembra che un altro peccato mortale dei giorni nostri sia quello di produrre vini con l’ausilio, se serve e quando serve, delle tecniche e dei prodotti che scienza e tecnologia enologiche mettono a disposizione. No: oggi l’unico vino davvero buono, apprezzabile, commentabile, è quello naturale (qualunque cosa ciò voglia dire). Se non hai almeno un vino naturale, non sei nessuno. E quindi naturalizziamoci. Anche se possiedi 4680 ettari di vigne e fai milioni di bottiglie, se vuoi che ti perdoni il tuo essere industriale devi avere almeno una linea di vini naturali: no pesticidi, no lieviti selezionati, no solforosa. Altrimenti, col cavolo che ti prendo in considerazione, come wine critic e come consumatore. Certo, il lavoro più grosso sarà convincere Madre Natura a comportarsi come un’operaia alla catena di montaggio (ogni annata uguale a se stessa, andamento climatico da manuale, qualità delle uve sempre e solo buona/ottima, problemi sanitari zero, e guai a sgarrare), ma se ce la farai, sarai dei nostri.
Ci sarebbe anche un quinto enotrend che serpeggia...la tendenza a non dirti mai (o quasi mai) come stanno veramente le cose. A cercare sempre di nascondere la polvere sotto il tappeto. A glissare su quello che si è e si fa davvero, se non corrisponde ai canoni modaioli del momento.
Si chiama ipocrisia.
Ma questa non è più semplicemente una tendenza, bensì un (mal)costume radicato nel mondo del vino italiano (e forse non solo italiano).
Praticamente una malattia. Chissà se è curabile.