Esterno, un sabato mattina d’estate. Seduti al tavolino di un bar, il mio intervistato esordisce andando dritto al punto. “Sono stato a controllare le mie opere - mi spiega - Ormai è passato un anno. Tutto bene, non ho visto cambiamenti”.
Dimmi come hai fatto, a mettere quei grappoli sotto resina.
“I campioni organici si conservano in due modi: in liquidi di dimora o fissativi. La formaldeide è un liquido di dimora: mantiene i campioni così come sono quando li inserisci. Ha però lo svantaggio di essere tossica, e di alterare il DNA del campione, anche se non si vede. Ora, immagina… Se fra 50 anni qualcuno volesse trovare dei dati numerici, che so, per capire il clima dei nostri giorni…Quel tipo di campione sarebbe inutilizzabile. Viceversa, i liquidi fissativi rispettano i campioni. Il problema è che, essendo soluzioni idroalcoliche, hanno l'inconveniente di degradare visivamente i grappoli, rendendoli a lungo andare inadatti per scopi espositivi/didattici. Insomma, o il tuo obiettivo è solo espositivo, oppure vuol essere anche di memoria scientifica. Centrarli entrambi è quasi impossibile, a meno che non si utilizzi la resina. Questo materiale mira a combinare le esigenze espositive con quelle scientifiche, mantenendo il campione inalterato sia alla vista che all'analisi chimica. È una sorta di terza via, ed è quello che sto cercando di fare. La quadratura del cerchio”.
Emanuele Marchesini è un giovane irrequieto, com’è giusto che sia per un artista. Dice di essere un perito agrario che ha scelto di laurearsi in enologia perchè nato in Valpolicella (“ho pensato alle possibilità che poteva darmi il mio territorio”). In realtà è un rara avis con una duplice vista: quella razionale dello scienziato e quella speculativa del filosofo (spinoziano, per di più). Una persona a cui non basta mai guardare le cose sub specie temporis, così come le vede - piatte, materiali, banali -, ma cerca sempre di osservarle anche da una prospettiva più alta, sub specie aeternitatis. Come quando in montagna lasci il sentiero principale e ne percorri uno laterale, per provare a osservare le cose da un punto di vista differente. Ed è proprio “guardando un po’ più in la’”, come dice lui, che da oltre un anno sperimenta con grappoli di uva fresca e resine: “La resina non altera i campioni. Volendo, i grappoli di un anno fa sono utilizzabili, e puoi sapere tutto della loro annata. Pensa se, fra 100 anni, potessero trovare un grappolo intero, inalterato! Guardando un po’ più in la’, perché non mettere a disposizione dei campioni per un obiettivo anche scientifico, e non solo espositivo? Immagina di catalogare così tutte le varietà autoctone di una zona”.
Ti senti più enologo, o più artista?
“Entrambi. A volte penso di dedicarmi solo all’arte, ma poi la mia parte scientifica reclama attenzione…Oggi mi occupo di analisi ambientali in un laboratorio, ma prima, per 15 anni, ho lavorato in una cantina cooperativa. Mi piaceva, facevo sperimentazione. Per questo, da tecnico, ragiono in modo diverso sull’arte. Per questo uso i materiali della vite e del vino: perchè li conosco bene. Vinaccioli, bucce, raspi. Prima del vino c’è altro, perchè il vino non è un prodotto naturale, quello è l’aceto. Prima del vino c’è il processo di lavorazione: ma quello, chi lo vede?”
Perchè hai lasciato la cantina?
“Se per tanti anni guardi sempre e solo le stesse cose, alla fine non le vedi neanche più. Per questo ho voluto cogliere una nuova opportunità professionale: per avere nuovi stimoli. Cerco sempre di guardare le cose da un punto di vista altro, più alto. Sono sempre stato un timido, però, crescendo, sviluppi l’apollineo, la razionalità, calmieri il tuo lato istintivo, dionisiaco, e scopri che ti interessano anche altre cose.”
Dionisiaco e Apollineo è il titolo della tua opera nella tasting room del Museo del Vino Montresor. Com’è nata?
“In passato avevo già realizzato delle sculture in resina con grappoli di uva appassita, ma i Montresor mi chiesero di provare a farle con grappoli di uva fresca. Una mission impossible, per i motivi che ho appena spiegato, ma io volli provarci lo stesso. Dovevo trovare la giusta combinazione tra i componenti delle resine, e le condizioni ambientali di temperatura e umidità. Feci un sacco di prove, buttai via un sacco di materiale, ma alla fine ci riuscii e ottenni il risultato che volevo. Non è ancora perfetto al 100%, ci sono alcune cose da limare, ma col tempo ci riuscirò. I Montresor furono così contenti che mi chiesero di fare qualcosa anche per la parete della sala di degustazione: 10 metri per 3!
Una bella sfida…
“Iniziai a leggere, a studiare Nietzsche, Spinoza, a guardare video, per crearmi un bagaglio di informazioni. Territorio, filosofia, tecnica, scienza. Prove, disegni. Quella che si vede oggi è la terza versione della mia opera.
Alla fine, mi è venuta in soccorso la filosofia: l’uomo bambino, dionisiaco, e l’adulto apollineo. In fondo il vino è la sintesi di questi elementi. Anche realizzare l’opera è stata una sfida, ma alla fine, eccola lì. E’ piaciuta molto, i riscontri sono molto positivi. E a distanza di un anno, come detto, va tutto bene”
Tu sei un enologo: cos’è il vino per te?
“Non certo solo quello che trovi nel bicchiere. C’è una corrente giovane che inizia a non catalogare, ma a sentire. Non giudica sulla base di informazioni: sente. Percepisce e non percepisce. I giovani si fanno raccontare le cose perché sono curiosi”.
A proposito! Il consumo di vino in Italia (e non solo) sta calando, e i giovani non sembrano attratti dal vino. Come li coinvolgiamo?
“Oggi c’è un sovraccarico di informazioni, tutti noi, soprattutto i giovani, ne consumiamo sempre di più. Ma nessuno vuole approfondire. Resta tutto in superficie. Credo allora che bisogni comunicare quello che si è davvero, senza recite o finzioni. Forse, se uno riesce a comunicare se stesso, è più probabile che il giovane si identifichi. Una volta instaurata la connessione, anche il dialogo diventa più facile”.
Prospettive future?
“Mi piace approfondire il mio ruolo di laboratorista in un laboratorio accreditato. Ho richieste artistiche da qualche cantina, e mi fa piacere, ma ancora non ho deciso cosa farò da grande. Ho una famiglia, 2 bimbi piccoli, per ora sto bene così. Però ho anche scoperto che le cose che faccio interessano molte persone, in giro c’è una sensibilità per l’arte che mi ha sorpreso. E mi fa piacere. Perché la mia è arte contemporanea. E’ dedicata al luogo in cui nasce, è fatta con materiali locali, lavorata in un luogo e che parla di quel luogo. Certo le mie sculture, le mie opere fatte con legno di ciliegio, tralci di vite, vinaccioli, bucce d’acini, raspi, non dureranno per sempre: ciò che è della terra tornerà alla terra, il cerchio si chiude.
Ed è giusto così”.