Nel mondo del vino ci sono alcune cose che non mi piacciono, e più passano i giorni e meno riesco a tollerarle.
Una di queste è l'ossessione della politica.
O meglio, l'ossessione di chi deve per forza dare un'etichetta politica al vino, alle sue espressioni e perfino alle manifestazioni che lo riguardano.
Così, per una concezione del vino distorta e patologica, chi si occupa di un certo tipo di vino (sia esso il cosiddetto naturale, così come il cosiddetto convenzionale) deve per forza essere di una certa idea politica, e se i suoi comportamenti e le sue scelte non corrispondono al concetto che uno si è fatto di lui o di lei, apriti cielo: è un traditore, un incoerente, un conformista.
E' successo di recente al gruppo di Porthos, ma sicuramente succederà ancora ad altri, in altri luoghi e occasioni, perchè la fissazione della conta degli amici (e di riflesso dei nemici), di "quelli che la pensano come me", l'ossessione di vedere un colore politico anche laddove non c'è, è evidentemente troppo forte in certe zucchette incapaci di elaborare un pensiero proprio. Perciò non posso che condividere quanto scrivono i porthosiani: il loro è semplice buon senso. Quel buon senso che continua ad esistere, ma che spesso tace a causa della petulanza del senso comune.
La' fuori la vita è già abbastanza complicata, senza che facciamo del nostro peggio per complicarcela (anche) noi.
Il vino è innanzitutto una bevanda, nel caso qualcuno se lo stia dimenticando. Non è una professione di fede o un manifesto politico.
E se è vero che gli amici sono il vino della vita, facciamo in modo che il vino, in tutta semplicità, possa sempre far parte della vita degli amici, di tutti gli amici.
Senza etichette (diverse da quelle che stanno sulle bottiglie).