Ci fu un tempo in cui le cose in enologia erano semplici come il sistema binario: 0 e 1. Acceso / spento. In quei tempi che oggi tanto remoti ci appaiono, la macerazione era quel momento tecnologico che distingueva il vino rosso da quello bianco. Il primo la faceva, il secondo no.
Tempi remoti, appunto. Oggi di macerazioni - brevi, lunghe, lunghissime - si parla a prescindere dalla dicotomia bianco/rosso, con tutto quel che di tecnico - ma non solo - ciò comporta. Alla macerazione, alle sue prospettive presenti e future, l'OICCE ha dedicato di recente una giornata di studio, (rivolta ovviamente agli addetti ai lavori) e che ha visto sfilare al tavolo dei relatori enologi, ricercatori e docenti universitari.
Al di la' delle peculiarità di una macerazione a cappello sommerso piuttosto di una a cappello galleggiante, tra i molti motivi di riflessione e discussione emersi, uno ci è parso di un certo interesse, uno spunto più di riflessione che tecnico: la constatazione che viviamo in un momento storico di confusione degli stili enologici.
A ben vedere infatti, oggi non è tanto l'aspetto tecnologico a interessare il consumatore, ma quello simbolico-tradizionale: i vini elaborati con lunghe macerazioni / vinificazioni (meglio se in anfore) sono uno dei must di maggior attualità e appeal in questi nostri anni bioconfusi. Sarà il fascino del ritorno alle origini, alla terra, ad un vino più vero (qualunque cosa ciò voglia dire), ma d'istinto proviamo più interesse per un vino in anfora che per uno in brik.
Quale sarà allora il futuro dell'enologia? Un ritorno al "fatto completamente a mano", (rimontaggi, follature e travasi compresi) per non dover ricorrere nemmeno a energia elettrica e pompe (ed essere più verdi)?
I mutamenti di stili hanno durata lunga, sono progressivi, hanno massimi e minimi ricorrenti, e le mode non sono sempre rapide e capricciose. Anzi, ci sono lunghi periodi di stabilità nei quali i cambiamenti sono costanti e vanno nella stessa direzione. L'abbiamo visto negli anni '90, quando il French paradox fece scoppiare la moda - se di moda si può parlare - dei vini rossi (che ancora dura).
Fisiologicamente, sembra che noi esseri umani rispondiamo ad una dicotomia: le novità ci attraggono, ma al tempo stesso ci preoccupano, quando non ci spaventano.
Finché il livello di novità è limitato, la risposta è positiva: ma quando la novità comincia ad essere estrema, allora la risposta diventa negativa. E' un fatto squisitamente personale: ogni individuo possiede un proprio livello ottimale di atteggiamento positivo verso le novità. La risposta alla novità si manifesta in una tendenza al mutamento che trasforma progressivamente uno stile fino a che questo raggiunge un limite (fisico, fisiologico, perfino normativo...)... dopodichè, ci si trova di fronte a due alternative.
O ci si ferma, o si cerca di superarlo. In quest'ultimo caso però, non più guidati da un traguardo preciso, si va in tilt.
Ed ecco allora la confusione degli stili.
Oggi che siamo arrivati ad un periodo-limite nello stile di vinificazione e stiamo cercando di superarlo, siamo nel pallone più completo.
In giro si trovano vini di tutti gli stili - e del loro contrario. Vini ipertecnologici (pensiamo alla dealcolizzazione) e vini biodinamici. Vini industriali e anonimi, e vini fortemente caratterizzati (autoctoni, varietali...).
Questa la situazione.
La buona notizia (per tutti) è che, con tutta probabilità, il vino del futuro esiste già.
Quella cattiva è che non sappiamo quale sia.
Ma il primo che saprà cogliere (intuire? indurre? prevenire?) la tendenza di stile dei prossimi 10 anni, partirà in pole position.