Vitigni autoctoni: un atlante per conoscerli
Dove cresce il Nocchianello Bianco? Avete mai assaggiato la Caricagiola? E il Vujino, è un’uva bianca o nera? Una delle caratteristiche della nostra Enotria è la sua ricchezza e varietà di vitigni - una complessità che è croce e delizia di tutti i winelovers, sia italiani che (soprattutto) esteri. Il vino da vitigno autoctono è diventato un must dei nostri giorni, un motivo d’orgoglio, ma soprattutto un elemento differenziante nel sempre più affollato e competitivo mercato mondiale. E dal paniere del nostro patrimonio ampelografico c’è ancora tanto da pescare; l’attuale Registro delle varietà di Vite da Vino conta infatti qualcosa come 605 vitigni potenzialmente coltivabili in Italia. Dal 2010 ad oggi l’elenco si è arricchito di ben 169 nuovi ingressi , 112 dei quali autoctoni (43% bianchi e 57% a bacca nera), 19 da incrocio di varietà Vitis Vinifera, 3 esteri, e 35 varietà ibride interspecifiche resistenti a oidio e peronospora. Di tutti questi, il nuovissimo “Atlante dei Vitigni e Vini di Territorio”, “edito da Edagricole e curato da Alberto Palliotti - Oriana Silvestroni - Stefano Poni ne descrive ben 126. Più di un centinaio di uve poco note e ben circoscritte nella loro coltivazione (la superficie vitata di alcune non supera l’ettaro) ; di ciascun vitigno viene presentata una scheda dettagliata, corredata sia dei caratteri ampelografici che di quelli enologici, una presentazione storica e una buona documentazione fotografica. Si scopre così, per esempio, che esistono varietà - come l’altoatesina Fraueler - che non temono il ghiaccio delle gelate perchè amano crescere in alta quota. O che la misteriosa e più unica che rara Americanina della Basilicata - nuovo vitigno censito solo di recente, coltivata da una sola azienda in appena 1000mq - ha tutte le caratteristiche che servono per dare un vino in linea con le richieste di oggi: poco alcolico, rosso, fruttato e speziato insieme, fresco e di buon corpo. O, ancora, che il Famoso dell’Emilia Romagna in passato era utilizzato anche come uva da tavola per la sua polpa soda e gradevolmente aromatica.
Eccetera. Si tratta insomma di un lavoro pregevole, che ha richiesto la collaborazione di numerosi esperti da tutta Italia, e che alla fine fornisce materia per riflettere sulla direzione che molti vini di territorio potrebbero intraprendere quando si pongono nell’ottica di una sempre maggior aderenza alle specificità del proprio luogo di produzione.