Vigna del Peste, il vino del "senza"
Il vino è una macchina del tempo. Stappare una bottiglia significa liberare il genio imprigionato lì dentro, che racconterà la storia di quell'anno, la sua storia, che sarà diversa da quella dei suoi fratelli, i vini degli anni successivi, come lo è stata di quella dei precedenti. Non è sempre facile mettersi in ascolto e lasciare che si esprima, a volte i ricordi che fa riaffiorare sono dolorosi, ma la vita è così. Il vino - quello vero - è così. Prendere o lasciare.
Il Vigna del Peste dell’azienda Terre di Pietra è un vino dal genio irrequieto, ma di cui ti puoi fidare perchè è sincero. Nasce nel 2011, in un vigneto di Marcellise di poco più di un ettaro, terra bianca (calcare, marna) e uve rosse: Corvina, Corvinone, Rondinella. Dal 2018 c'è perfino la Molinara - un’uva che troppi produttori si sono affrettati a dismettere e che Cristiano Saletti di Terre di Pietra al contrario, ha deciso di re-impiantare e valorizzare.
Fin da subito l’impostazione di lavoro in campo e in cantina è stata la meno interventista possibile, primo passo verso il mondo dei vini naturali. La prima vinificazione, a fermentazione spontanea, fu in cemento: “É stata una decisione fondata sulla curiosità, perché non avevamo esperienza di alcun tipo” ammette Cristiano "Però Laura e io volevamo usare un materiale neutro, che permettesse un’evoluzione senza che fosse intaccata la nostra idea di Valpolicella”. La fortuna dei principianti, si direbbe durante una partita a carte: quell'anno andò tutto bene, e alla fine si ricavarono 3000 bottiglie in cui è rinchiuso un vino dal colore che ormai tende al rosso mattone, con profumi di erbe aromatiche, sapido e con grande acidità. Da quel momento in poi, un passo alla volta, è stato portato avanti un processo di ritorno alle origini del modello di Valpolicella Superiore inteso com'era una volta e come dovrebbe continuare a essere: un vino quotidiano, franco, fresco, fruttato, strutturato il giusto e diretto, senza fronzoli. Un vino che a quanto pare non esiste più nemmeno nel disciplinare. “Nel 2010 il disciplinare del Valpolicella cambiò - spiega Cristiano - Non ci siamo più ritrovati e abbiamo lasciato la DOC”. 2018: bye bye Valpolicella Superiore DOC, hello Vigna del Peste Rosso Veronese IGT.
Era solo l’inizio. Come nel gioco dello shangai, un anno dopo l’altro, Cristiano e sua moglie hanno tolto qualcosa, stando però sempre ben attenti a non far crollare la costruzione: no lieviti selezionati, poi no filtrazione, poi no solfiti aggiunti...
Il VdP 2012 ha gli stessi profumi del precedente, con in più una nota fruttata rossa.In bocca é fresco, con un ricordo di dattero. Molto secco. Lungo, pulito.
Più rotondo il 2013 (primo anno senza filtrazione), un po' più complesso e completo. Profumi balsamici e d'incenso, e in bocca sempre viva l'acidità.
Nella già bruttissima annata 2014, si decide di alzare ancora l’asticella delle difficoltà: pochissima, quasi niente la solforosa usata. Ne risulta un VdP ancora più fresco, sia pure un po’ esile, perfettamente in linea con quello che l'annata (non) ha dato.
Più scuro e perfino più alcolico invece il 2015, annata con caratteristiche opposte alla precedente. Se il 2014 si era rivelato difficile da gestire per l'eccessiva piovosità, il 2015 lo è stato per il troppo caldo, soprattutto per un vino che vuol essere fresco e leggero: di qui anche un alcol un po’ più elevato (13 gradi e rotti).
Dopo due annate difficili, il 2016 è per Cristiano una vendemmia a 5 stelle. Il vino regala profumi di terra e fruttini rossi, una bella spalla acida, rotondità e lunghezza. Un bel rosso: pulito, verticale, affilato.
Anche la 2017 è un’annata calda: la struttura è sottile, ma gli aromi di speziato scuro sono interessanti, e il sorso in bocca è lungo e ben definito. Più sofferto il 2018: con la prematura scomparsa di Laura, Cristiano da solo deve pensare a tutto - famiglia, cantina, campi - e la concentrazione scarseggia. Il VdP però è sempre lui, penalizzato semmai da un colore un po’ più scarico rispetto ai precedenti.
Gli anni corrono e quando già si pregusta un bel compleanno, arriva il guastafeste: nel 2021, una solenne grandinata battezza le uve a dovere: fare il vino come si vorrebbe non si può. Doveva essere la vendemmia del decennale. E’ stato invece lo spunto per un nuovo inizio - l’ennesimo.
Perciò il VdP 2021 non c’è, non esiste: in attesa della bottiglia targata 2022, al suo posto si trova il “304” a imperituro ricordo di quel “regalo” piovuto dal cielo il 30 aprile.
Ma L’avventura continua. Senza fermarsi. Soprattutto, senza paura.