VinoPigro

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Chi salverà il vino italiano (e non solo)?

(Spoiler) ll consumatore finale (come sempre).

Il quale, più che probabilmente, ricambierà chi si è sempre interessato a lui/lei (e ignorerà tutti gli altri).

Alla fine i clienti finali sono loro, siamo noi. Sono/siamo quelli che comprano stappano e bevono le bottiglie. Non le catene di distribuzione, non i negozi, non gli importatori, non gli agenti. Quelli sono tutti intermediari, utili a far arrivare il prodotto al fruitore (tu, io. Noi, appunto). 

Fino ad oggi però tutti i produttori, chi più chi meno, rivolgevano la maggior parte delle loro cure e attenzioni proprio agli intermediari. Ancora oggi quasi nessuno sa dare risposte precise alla domanda “ma il tuo vino, dove finisce? In quali ristoranti? Chi è il tuo cliente tipo? E’ uomo, donna, giovane, anziano, benestante, ricco, vive in città, in campagna, é single o ha famiglia? Quali sono i suoi hobby, ama di più il calcio, il rugby o la cucina?”. Perché i consumatori sono, alla fine, numeri senza volto sopra un rapporto: quello del conteggio finale delle bottiglie vendute. Si potrà dire che si vende di più in certe aree piuttosto che in altre, che certi vini hanno più successo a Roma che a Stoccolma, al massimo che alcuni ristoratori hanno notato che il Prosecco è più richiesto dai giovani che dagli adulti. Ma più in la’ non si riesce ad andare. La vendita on-line? Troppo sbatti metterla in piedi. E poi le vendite non compensano mai abbastanza lo sforzo e l’investimento, sono gocce nel mare, persino quando ci si affida ad un servizio già collaudato.

Ci voleva un terremoto come l’attuale per buttare all’aria tavolo e carte. Con l’HoReCa ferma, l’export anche, la GDO inadatta ai più, le visite in cantina azzerate, improvvisamente si è riscoperto il winelover-tipo, che apprezza il nostro vino e lo cerca perfino nelle enoteche virtuali. Lo stesso che si è sempre snobbato perché, beh, capirai, quello mi compra al massimo un paio di cassette all’anno.

E’ una goccia, appunto. Ma anche il mare è formato da (tante tante tantissime) gocce. Momentaneamente bloccati/prosciugati gli affluenti più grossi, resta questo misero rigagnolo che si è sempre trascurato, ma che può ingrossare, e trasformarsi in un promettente torrente, se s’impara a rinforzarlo.

Fuori di metafora, mai come in questi giorni molte aziende si sono accorte dell’importanza della vendita diretta (online e offline). Piccoli numeri, forse, ma che per tanti produttori (che non producono milioni di bottiglie) stanno significando molto . Significano la possibilità di continuare a fare il proprio lavoro, parando i colpi. Non è come prima, ma almeno non si affonda del tutto. In una situazione d’emergenza tutto fa gioco. 

MA.

C’è un grande “ma”. Riguarda il rapporto - o il non-rapporto - che fin qui si è tenuto proprio con il consumatore finale. Riguarda tutte le occasioni che si sono sprecate ignorando le possibilità di aprire un dialogo, usando male (o non usando affatto) le nuove tecnologie. 

Siti web aziendali concepiti come vetrine che nessuno rinnova mai e che diventano subito obsoleti/inutili. 

Pagine Facebook che non vengono aggiornate se non per parlare dei prodotti, in una conversazione a senso unico come ai tempi della cara, vecchia tv. 

Account Instagram la cui foto più recente è quella della vendemmia dell’anno prima. Newsletter che parlano solo dell’ultimo premio ricevuto o dell’ultima bottiglia messa in commercio. Come direbbe qualcuno, “it’s all about me, me, me...”. 

In queste e molte altre analoghe situazioni il cliente finale esiste solo come un concetto astratto. Non si è investito - o non lo si è fatto abbastanza - nel costruire una relazione.

E adesso che ci si accorge di aver bisogno del consumatore, ci si rende anche conto che 1) i consumatori esteri sono convinti che se acquistano prodotti italiani (vino incluso) si infetteranno, ragion per cui le vendite sono crollate (ah, la comunicazione efficace, questa sconosciuta!) e, 2) che qualcuno è già arrivato prima di noi a soddisfare vecchie esigenze espresse in maniera nuova.

Nuove comode abitudini si sono già instaurate, e sarà molto, molto difficile abbandonarle.