L'eredità di Giuseppe
Nelle scorse ore il Soave ha perso un pezzo della sua storia. Un protagonista poco chiassoso, sempre cortese, gentile, dotato di un’ironia sottile, spia inconfondibile di una grande cultura e una grande educazione. Perché questo era, Giuseppe Coffele: un vero signore. Cordiale, preparato e sorridente.
Agli eventi del Soave il prof, come lo chiamavano in ricordo del suo passato da insegnante e dirigente scolastico, non mancava mai. Ascoltava sempre molto, parlava solo se interpellato direttamente, o se riteneva di poter portare un contributo alla conversazione, ma non si dilungava mai troppo, quasi pesasse le parole. Aveva il senso della misura, una dote sempre più rara ai nostri giorni.
Salutava tutti, si intratteneva con tutti, sorridendo felice quando ci si confrontava con i suoi vini. Sapeva, per esempio, che mi piacciono (tra gli altri) il suo Soave “Alzari”, e il Recioto di Soave “Le Sponde”, e non mancava di farmi assaggiare le nuove uscite ogni volta che c’era l’occasione, o di inviarmi qualche bottiglia a Natale. Quando andavi a trovarlo ti accoglieva festoso, e noi sapevamo di poter sempre contare sulla collaborazione e l’ospitalità della famiglia Coffele quando c’era qualche wine lover straniero, o qualche collega, che chiedeva di portarlo in giro per vigneti e cantine della denominazione. Una visita alla storica cantina in centro a Soave, nel bellissimo palazzo del ’600, era una delle nostre tappe obbligate, per non parlare del giro nei vigneti di Castelcerino, dove i Coffele avevano restaurato un antico casale settecentesco dove si trova uno spettacolare fruttaio. E che vista straordinaria si gode da lassù.
Giuseppe Coffele ha sempre avuto per il mondo del vino uno sguardo curioso, e un approccio pionieristico: una volta mi confidò di essere stato lui il primo a piantare Chardonnay, in anni non sospetti, anticipando quella che sarebbe stata una tendenza stilistica di successo fino alla “riscoperta” dei vini da vitigni autoctoni. La sua curiosità per il nuovo non l’aveva però allontanato dalle radici della terra: i suoi vini rispecchiavano il suo carattere, il suo stile elegante, ma anche le annate, le caratteristiche dei suoi crus. Da anni il figlio Alberto, enologo, si occupa di portare avanti questo imprinting, e siamo sicuri che Giuseppe continuerà a essere soddisfatto del lavoro compiuto insieme ai suoi fino all’ultimo giorno. I valori che ha trasmesso come produttore e come persona alla sua famiglia, agli amici, alle moltissime persone che lo conoscevano e apprezzavano, non andranno persi: ora può riposare tranquillo. Ha lasciato un’ottima eredità.