Pantelleria, passione passito (e alberello)
Quando ci arrivi ti devi inchinare, e può succedere di passare del tempo così, con la schiena piegata. Un po' per opporti al vento, che quando soffia davvero non è gentile, shakera perfino gli aeroplani fermi sulla pista del piccolo aeroporto, e un po' perchè le cose interessanti sono quasi tutte a quel livello: rasoterra, o appena più su.
Pantelleria è un'isola scomoda, scorbutica. Circondata dal mare, non ha sorgenti d'acqua dolce, è rocciosa, di origine vulcanica, con una rete interna di strade degna di un progettista di rollercoasters ubriaco. E' un'isola gelosa del suo isolamento e di quelli che con lei lo condividono: le sue rocce a picco impediscono da sempre gli approdi da diporto e scoraggiano quelli dei pescherecci. Pesca quasi zero, dunque, e agricoltura in condizioni di aridocoltura. C'è di che sentirsi sconfitti prima ancora di cominciare.
Invece no. Pantelleria è sempre stata abitata, ambita - perno nevralgico delle rotte tra Africa e Italia - e coltivata, l'ingegno dell'uomo stimolato dalle difficoltà e dai molti impliciti (ma categorici) qui-non-si-può-fare; ecco allora i muretti a secco in pietra lavica a delimitare e proteggere i vigneti, ecco i dammusi dai muri spessi, squadrati, semplici e funzionali, ecco i giardini panteschi , come quello donato al FAI da Donnafugata: piccoli spazi circondati da mura che custodiscono come un tesoro una o due piante di agrumi. Straordinario, a questo proposito, è il giardino scoperto da poco in località a Salto la Vecchia, all’interno della Tenuta Borgia delle Cantine Pellegrino: di epoca ottocentesca, non solo è il più grande dell'isola (è lungo 21 metri e largo 11), ma anzichè essere rotondo come gli altri, ha una pianta rettangolare, e custodisce non uno, ma ben 8 alberi di limoni e due palme da datteri.
Il fatto è che, a dispetto delle apparenze, la terra rossa e nera di Pantelleria sa essere molto generosa, e ripaga i contadini delle loro fatiche con prodotti di qualità eccelsa, si tratti di pomodori, olive, capperi, melanzane, fave, zucchine o la magica uva zibibbo. Straordinaria da mangiare come da bere, in forma di passito, di liquoroso, di spumante, nella versione secca. Insomma, sempre. Peccato che il mercato voglia meno bene a questi vini di quanto ne voglia l'isola ai suoi vigneti, che continua a crescere e nutrire anche quando gli uomini li abbandonano: negli anni d'oro della coltivazione di uva per la mensa e per l'industria dolciaria (nella sua veste di uva passa) c'erano 5000 ettari vitati, oggi ne sono rimasti a stento 400. Il sistema di coltivazione è rimasto quello introdotto dai Greci: l'alberello, faticoso per gli uomini, ma l'unico possibile in questo ambiente. Un binomio così inscindibile, questo tra Pantelleria e l'alberello, da rappresentare un elemento di coltura e di cultura che perfino l'UNESCO ha riconosciuto, iscrivendolo nel 2014 nella lista dei Beni Immateriali Patrimonio dell'Umanità: per una pratica agraria era la prima volta in assoluto.
Ora però bisogna guardare avanti, e in fretta. La viticoltura di Pantelleria deve crescere, per farlo deve essere remunerata di più e meglio, e già un passo avanti si è fatto grazie al Consorzio di tutela, che è riuscito a far aumentare le remunerazioni dei coltivatori d'uva (oggi 1 q. di uva fresca in cassetta viene pagata 100 euro, che diventano 600 se consegnata appassita). Ma non basta. Servono giovani, forze fresche, iniziative, idee. Investimenti, anche. Voglia di fare, perchè da fare ce n'è tanto, come si è detto anche nei giorni scorsi in occasione di Passitaly. L'economia di Pantelleria deve sapersi rinnovare, agganciandosi anche ai veloci treni dei nostri giorni: l'enoturismo, il turismo naturalistico, perfino quello archeologico. A Passitaly ci è sembrato di cogliere una buona sintonia e una comunanza di intenti positivi tra le diverse forze in gioco, produttive e istituzionali: buon segno.
Perchè quando il vento soffia in poppa, si va lontano. Tutti insieme.
Ps: Tra i vini assaggiati durante il veloce soggiorno pantesco, ne cito tre a titolo di esempio: un sontuoso BenRyè 2005 di Donnafugata, il mediterraneo Gadì 2016 di Salvatore Murana, e il sorprendente Shalai Pantelleria DOP Moscato Spumante Millesimato di Vinisola.