La maledizione del wine writer e altre storie
Tra le molte cose interessanti che quotidianamente leggo sul web, quest'oggi ne segnalo due, di due eno-giornalisti e wine writers di fama internazionale che ho la fortuna di conoscere personalmente: Jamie Goode e Cathy Huyghe. Il primo è autore di un post tant cinico quanto veritiero, e quindi assolutamente da leggere: come avere successo come wine writer scrivendo noiosi articoli sul vino. Giusto per avere un'idea: "Come fai a scrivere il tuo noioso articolo sul vino? Non hai spazio per andare in profondità, perciò ricorda: fai una grande panoramica senza troppi dettagli. La buona notizia: non ti prenderà molto tempo, soprattutto se segui il mio modello. Inizia col dire come 30 anni fa nella regione X non facevano buoni vini, nonostante l'ovvio potenziale dei vigneti e dei vitigni coltivati. Poi spiega il lavoro dei pionieri. Persone che hanno cominciato a fare i vini leggermente migliori rispetto ai loro colleghi. Cita da uno a quattro produttori che hanno scoperto che se avessero fatto vini migliori avrebbero potuto farli pagare di più, e di come si sono resi conto che erano sulla strada giusta quando hanno vinto un premio in un concorso o hanno ottenuto 90 punti da R.Parker". Una lettura altamente consigliata soprattutto ai responsabili dei Consorzi del vino, ai direttori marketing e p.r. di grandi aziende e associazioni di produttori, agli uffici stampa e in generale a tutti coloro che organizzano educational tour con l'occhio fisso sugli equilibri politici della propria compagine, anzichè interrogarsi su cosa piacerebbe leggere ai loro consumatori. Perchè la morale è sempre quella: alla fine, il giornalista del vino è costretto a scrivere quello che vuole la sua testata, la quale deve accontentare il suo reparto commerciale che vende la pubblicità al Consorzio che paga il press tour. E il cerchio si chiude. Il lettore e i suoi (eventuali) interessi ovviamente restano tagliati fuori questo giro; alla fine, quel che si ottiene ha la stessa efficacia di un normale redazionale, solo che costa dieci volte tanto*.
Il secondo pezzo, comparso su Forbes, ha cercato di dare una risposta alla domanda che la maggior parte degli osservatori esterni ed esteri - ma anche parecchi italiani - si sono posti, a proposito della storica visita di una rappresentanza del mondo del vino italiano da Papa Francesco: come può il Papa aiutare l'industria del vino italiano? Tradizione delle udienze generali a parte, Cathy si è chiesta che cosa, esattamente, i signori del vino pensavano di poter ottenere da questo pontefice così vicino alla gente, diretto e fuori dagli schemi. Perchè c'erano andati, e cosa speravano di ottenere? Le risposte a questi interrogativi "riflettono una vasta gamma di pensieri", e tutte, ahimè, appaiono piuttosto insoddisfacenti nel loro stereotipo ("siamo qui perchè condividiamo tutti la medesima passione", "è importante riconoscere i produttori e la nostra passione per il territorio e le nostre famiglie", "per gettare le basi di una cultura del vino in Italia"). Una grande occasione perduta, si lamenta qualcuno, perchè si sarebbe dovuti venire con un obiettivo preciso... Magari avendolo condiviso prima con qualche incontro preparatorio... Gli Stati Generali del Mondo del Vino italiano uniti per decidere cosa andare a dire al Papa... ovviamente, dopo aver stabilito un programma circa l'incontro stesso degli Stati Generali... Quando si fa l'abitudine alle sovrastrutture e impalcature mentali d'ogni genere e tipo, diventa pressocchè impossibile pensare semplicemente e agire con rapidità.
E forse questo è il vero dramma del mondo del vino italiano: il suo essere progioniero di schemi mentali di un barocchismo paralizzante, unitamente a un'organica incapacità di pensiero condiviso (eccetto che nelle lagnanze: quelle le condividono tutti, sempre).
*a questo meccanismo ci sono delle eccezioni, ovviamente, ma non sono oggetto del post di Jamie, né di questo.