"Quei che fa l'uva..."
"...e quei che fa el vin son do rasse diverse". Traduzione: quelli che coltivano uva e quelli che la vinificano sono due razze diverse.
Gli amici enologi direttori di cantine cooperative me lo dicono da sempre: fare uva è una cosa, fare vino un'altra. Pensare che tutti i coltivatori d'uva abbiano sempre a cuore il lavoro di chi poi dovrà vinificarla, preoccupandosi di consegnare il miglior prodotto possibile (compatibilmente con l'annata) è un'ingenua illusione.
Ecco spiegato perchè ancora tanti, troppi soci di cooperative in tutta Italia trattano la cantina stessa come se fosse un cliente e non come la propria realtà produttiva, avendo ancora in testa solo il grado zuccherino delle loro uve e il minimo accettabile di sanità delle medesime (oltre a pochi altri paramatri). Perchè, dal momento in cui il carro viene consegnato, pesato, l'uva osservata, variamente sondata e finalmente rovesciata nei pigiadiraspatori, sono convinti che non sia più affar loro.
Da quel momento in poi "son cavoli dell'enologo, l'è el so mestier" come mi ha detto (impietoso) più d'uno.
Tralasciamo in questa sede il salto di qualità fatto da molte realtà cooperative, il cui protocollo di consegna delle uve comprende più requisiti di un check up medico completo; ancora oggi, generalmente, per quanto l'uva sia buona, il dopo non è più affare dei coltivatori d'uva. Discorso analogo si può fare anche per chi vende l'uva sul libero mercato, a imbottigliatori o ad altri produttori.
La musica cambia quando da semplice produttore d'uva ci si mette a vinificare e imbottigliare. Allora ci si rende conto che in cantina vengono al pettine tutti i nodi di un anno: tutte le trascuratezze, le leggerezze, le superficialità, le imperizie.
L'uva presenta il conto, e può essere salato.
L'enologia contemporanea - sia in termini di tecnologie di cantinache di prodotti enologici - oggi è in grado di mettere una pezza su tanti problemini (e alcuni problemoni) che si possono verificare lungo il percorso verso il vino finito, ma l'intervento non è mai indolore. Costa competenze rodate - che spesso il neo-produttore di vino ancora non possiede, o non padroneggia totalmente - e magari anche strumenti diversi. In entrambi i casi, difficilmennte se la caverà con una manciata di euro.
Morale? Il vino che nasce nel vigneto è una verità dimostrata, non un luogo comune del marketing. E anche se oggi ci si limita solo a coltivare l'uva per venderla, cominciare a pensare a cosa succederebbe se... invece si dovesse vinificare in proprio, aiuta a sintonizzarsi sulla giusta lunghezza d'onda e farà tutti più felici.
Il vigneto per primo.
ps: un pensiero solidale a tutte le amiche e gli amici che lavorano nelle cantine cooperative italiane (e dei quali troppo spesso ci si dimentica), siano essi tecnici di campagna, enologi o cantinieri: forza e coraggio e buona vendemmia!