VinoPigro

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2012, il Vinitaly dei #success e dei #fail

In fondo basta poco per far felice un produttore che viene al Vinitaly.

Basta slittare (di poco) le date nella settimana, accorciare di un giorno la durata della manifestazione (mantenendo però inalterato il costo di partecipazione), fargli vedere padiglioni e corridoi sempre pieni di gente e far sì che possa incontrare i suoi clienti. Qualche faccia nuova tra i buyers come zuccherino supplementare, et voilà. Chi più contento di loro? Sul quotidiano locale di Verona, e non solo, è un coro unanime di approvazione: bellissimo Vinitaly, uno dei migliori degli ultimi anni. L'avevano detto anche l'anno scorso (per fortuna di Vinitaly, e di VeronaFiere), ma va bene così, è il virus questaèlavendemmiadelsecolo che si sta espandendo anche al di fuori dell'ambito strettamente viticolo.
Ciò premesso, dal mare magnum delle iniziative e del folklore di questa che rimane la manifestazione più popolare, frequentata e chiacchierata dell'enoico mondo italiano, ecco qualche schizzo...

- #success(?): Opera Wine. Come avrebbe dovuto essere, non l'ho ancora capito. Una degustazione guidata? La medesima + un tasting around? Boh. My fault: così imparo a fare berna alle conferenze stampa. Strombazzata a destra e a manca, divisa in 2 turni e rigorosamente su invito e/o a pagamento, nelle sale del Palazzo della Ragione ha radunato il Gotha delle cantine italiane, secondo WS. Il punto interrogativo che aleggiava sospeso (come nei fumetti) sulla testa di tanti (me compresa), davanti all'audacia di annoverare certe aziende tra i best in the world, in certi casi rischiava quasi di materializzarsi. Assaggi notevoli/piacevoli: Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001, Bellavista Extrabrut Franciacorta Vittorio Moretti 2004, Barbaresco 2008 di Gaja, Barolo Monprivato Ca' di Morissio Riserva 2003 di Mascarello, Brunello di Montalcino 2006 Biondi Santi, Kerner A.A. Prepositus Abbazia di Novacella.      M'sieur de La Palisse non avrebbe saputo scegliere di meglio.

- #success: Vivit. Senza se e senza ma. VeronaFiere è come certe pubblicità delle lotterie istantanee, se deve fare qualcosa di nuovo le piace vincere facile. E' il momento dei vini bio-qualcosa, fuori dalla porta di casa sua si tengono addirittura degli eventi dedicati, alternativi e contemporanei al Vinitaly; la scelta era pressocchè obbligata. E bio sia. In un angoletto del quartiere fieristico, un po' sacrificati e accalcati gli uni sugli altri come polli d'allevamento, no stand, solo tavolinetti da picnic, e spesso due aziende su uno, tanto è gente rotta alla fatica e al sacrificio. E come loro, i fans del genere. Ingressi contingentati come nei negozi delle griffes al tempo dei saldi (quando l'economia girava), e bicchiere se eri fortunato. Beh, ha funzionato lo stesso, l'esperimento (se tale era) si è rivelato un successo. Confido che per l'anno prossimo verranno tutti promossi al rango di espositori. Assaggi notevoli/piacevoli: Pignoletto frizzante di Federico Orsi.

-#biiiigfail: le connessioni. Immaginate un'azienda piccola e in fase di lancio sul mercato, che investe tempo e qualche soldo per ovviare alla mancanza di risorse più consistenti imparando a usare le nuove tecnologie. Che contatta importatori e buyers, fissa appuntamenti, trasmette documentazione usando sempre e solo telefono e web. Immaginate che arrivi al Vinitaly con la certezza di ritrovarsi ancora nel nostro pur scalcagnato paese...e scopra invece di essere finita in una specie di deserto dei Gobi delle telecomunicazioni. No rete cellulare, impossibile mandare Sms, impossibile agganciarsi a internet, impossibile tutto. E questo per 3 giorni su 4. E quando qualcosa funzionava, lo faceva a singhiozzo: ora sì, ora no, qui sì, 2 metri più in la', no. Se fuori dai cancelli della fiera, i soliti bagarini avessero venduto piccioni viaggiatori anzichè biglietti d'ingresso, sarebbero diventati ricchi.

- #bigsuccess:#winelovers. Il gruppo, l'iniziativa e chi l'ha sostenuta. Ospitati nell'ampio spazio del Consorzio dei vini umbri, un gruppo di wine bloggers dell'EWBC (ma iniziamo a chiamarla Digital Wine Communications Conference, DWCC) come Caroline Henry, Andrè Ribeirinho, Onne Wan e Luiz Alberto, (oltre alla sottoscritta e ad Aristide, e ospiti illustri come i Masters of Wine Debra Meiburg e Peter Koff, nei quattro giorni di fiera sono stati protagonisti di seminari, talk show, dibattiti, degustazioni, vinocamp...il tutto all'insegna della convergenza tra nuove tecnologie e wine business. Quel genere di cose, insomma, che nel resto del mondo avanzato parla già la lingua del presente, mentre in Italia è ancora declinato con i tempi dei verbi al futuro (se sei escludono esperimenti come questo o questo).

-#fail: disservizi vari e assortiti. Ormai è un disco rotto, a ogni edizione si ripresentano gli stessi problemi: viabilità ingestibile, avventori del Vinitaly da rinchiudere per ubriachezza molesta, furti di bottiglie di vino negli stand, ecc. (un elenco più puntuale è rintracciabile qui ). Dubito che si possa porvi rimedio, ma l'aggravante di quest'anno è stato lo scadimento della qualità di tutti i servizi interni della fiera. E' andata peggio del solito, insomma. Tu chiamala, se vuoi, crisi.

Concludo con l'estratto di un articolo firmato dal wine economist E.Narduzzi: "Troppo spazio è ancora lasciato alle piccole cantine, mentre la  fiera  avrebbe bisogno di offrire più spazi ai grandi buyer diventando l'appuntamento principale dell'enologia mondiale che conta e fa fatturato. Ripensare il format per avvicinarlo di più alle esigenze delle grandi imprese".

Cari produttori di piccole cantine, altrove elogiati come l'ossatura dell'enologia nazionale, voi cosa dite?