Colfòndo
A me il Prosecco non piace.
Non mi è mai piaciuto, e per quanti sforzi faccia - giuro che m’impegno - non riesco a farmelo piacere.
Riesco ad accettare alcune etichette (questa e questa per esempio), ma il resto, vi prego, datelo a chi lo apprezza più di me (alcune decine di milioni di persone, più o meno).
Ciò premesso, sono andata a una degustazione di un vino - anzi, di 6 campioni - che col Prosecco normalmente inteso condivide qualcosa. Il territorio d’origine, per esempio, l’uva (almeno in parte) e qualche altro particolare che mi sfugge.
Ma la verità è che è un altro vino, e per fortuna ha anche un altro nome - non legale ovviamente, ma la normativa arriva sempre col Settimo Cavalleggeri dei film western: a cose fatte.
Si chiama Colfòndo, e già nel nome tradisce la sua particolarità enologica: fossimo in Francia, lo definiremmo un “sur lie”.
La consapevolezza di questa distinzione è stata una delle due motivazioni che mi hanno spinto ad accettare il gentile (ma fermo) invito del vate Stefano Caffarri (che ancora ringrazio), a degustare questi vini; la seconda motivazione è stata la curiosità di vedere un’acetaia di cui sentivo favoleggiare in rete da tempo: quella di Andrea “Bez”, l’acetaia San Giacomo.
Facile, troppo facile dire che dopo averla visitata, l’aceto cosiddetto balsamico di Modena ampiamente pubblicizzato ha perso definitivamente una consumatrice, mentre ne ha guadagnata una (quando me lo posso permettere) il Balsamico Tradizionale (Bollino Oro, possibilmente).
Dicevamo del tasting: la prima fase si è svolta alla cieca e in silenzio (beh, insomma, quasi), in modo da lasciare spazio e tempo alle sensazioni di ciascuno, senza condizionamenti. Il riassaggio ha avuto il sostegno del racconto dei singoli produttori. Ovviamente, come tutti i vini vivi, nel frattempo nei loro bicchieri i vari Colfòndo si evolvevano, regalando sensazioni continuamente diverse.
Vino trasformista, il Colfòndo, in tavola può stare con tutto, con i primi e con le carni (tanto cambia sempre). Un’eclettismo che gli viene anche dall’uvaggio, nel quale compaiono anche uve di cui nessuno parla più, come la perera, la bianchetta, il verdiso... non di solo prosecco vive la zona del medesimo (per fortuna).
“Il Prosecco nasce come vino fermo e da pasto, pur avendo potenzialità di piacevolezza tipiche del vino da happy hour” ci hanno spiegato. “La spumantizzazione in autoclave ha poi esasperato questa caratteristica, facendo deviare il vino dalla sua missione originale”.
Non starò a discutere chi ha ragione di far cosa. Ha ragione la casa vinicola che produce milioni di bottiglie e le vende, e ha ragione il piccolo produttore che fa solo poche migliaia di pezzi, e vende anche quelle. Il primo serve l’happy hour e il secondo la tavola (e gli esigenti rompiqualcosa come chi scrive). Hanno ragione tutti e due, il mercato è grande, c’è posto per tutti. E dirò anche che no, non consiglierei mai al ragazzino che alterna lo spritz ala Cocacola (e li ingolla entrambi) di provare un Colfòndo. Il vino (quello vero, non le sue innumerevoli caricature), non è roba per ragazzi, l’ho già detto e lo ripeto.
Una cosa però è certa; la prossima volta che a una cena elegante in qualche hotel o ristorante di lusso mi sentirò offrire dall’ossequioso cameriere di turno “un Prosecchino, signora?”, gli risponderò: “sì, grazie, ma solo se è un Colfòndo”.
Voglio proprio vedere che faccia fa.
Di seguito, le mie note di degustazione:
La Basseta: naso molto agrumato, in bocca pompelmo e limone. Col passare dei minuti regala delle curiose note un po’ fumè.
Zanotto: naso di lieviti, più complesso e scuro in bocca, con sentori balsamici. E tuttavia, col tempo emerge la frutta a polpa bianca come la pera Williams
Gatti Lorenzo: naso più fruttato e floreale dei precedenti, dolce di pasticceria, ma un gusto che chiude su note leggermente amarognole.
Bele Casel: profumi molto floreali e fruttati di banana, pera bianca, erbe aromatiche. Chiusura morbida.
Costadilà: sentori inizialmente un po’ chiusi. In seguito emergono note di crosta di pane e lieviti. In bocca è agrumato. Non molto interessante in degustazione, si bene con gusto al pasto.
Nicos: profumi di pera bianca, ma bocca da agrume. Da pasto.
Un'ultima annotazione a margine: il colore. Solitamente è un dettaglio a cui do' un'importanza relativa. In questo caso lo è ancora di più, perchè potrebbe fuorviare. I campioni che abbiamo assaggiato erano tutti abbastanza opachi, per non dire torbidi, con colori dal paglierino chiaro al giallo. Nella foto d'apertura, il terzo vino appare addirittura arancione. No, non è ossidato. Sa di papaya e altra frutta esotica non meglio identificata. Curiosissimo e intrigante.