Brand e Doc, un rapporto problematico

In un pezzo dell'ottimo Maurizio Gily sull'ultima newsletter di Millevigne si parla, tra l'altro, di un argomento quanto mai attuale: la nuova pelle dei Consorzi di Tutela dopo il ciclone OCM vino, in particolare per quello che riguarda la comunicazione istituzionale.

La quale, in casi come quello piemontese citato, sarebbe osteggiata da una parte dei produttori. 

Il motivo è semplice, e vecchio come l'istituzione delle Doc: accendere i riflettori su una denominazione (come fa, o dovrebbe fare, la comunicazione istituzionale in carico ai Consorzi) significa mettere in ombra i diversi marchi aziendali.

E viceversa.

In tempi di vacche grasse, la questione si auto-congela: c'è grasso che cola per tutti, inutile litigare. 

Ma in tempi di vacchette magre come gli attuali, il problema irrisolto riesplode ad ogni tentativo di soluzione.

Che i produttori si siano sempre dichiarati ostili ad autotassarsi di un tot a bottiglia a scopo di comunicazione collettiva, è storia vecchia e nota: ma oggi i segnali di questa insofferenza nei confronti della denominazione si stanno moltiplicando, assumendo gli aspetti più vari. Dalla fuga dai Consorzi con relativa formazione di nuovi gruppi, alla nascita di nuove associazioni.

D'accordo: si tratta di segnali di un disagio esistenziale più profondo e sfaccettato, la manifestazione del quale sarebbe emersa comunque, e che le novità dell'OCM vino hanno solo contribuito ad accelerare.

Torniamo perciò alla semplice - si fa per dire - questione della comunicazione.

E' vero o non è vero che dare fiato alle trombe della comunicazione istituzionale significa far spazio e dare voce a tutti, compreso chi non si vorrebbe?

Ed è vero o non è vero che questo fastidio appare spesso a senso unico? Non mi risulta infatti che un Consorzio si adombri se un'azienda socia fa comunicazione a favore dei propri marchi. Perchè è un suo diritto, se ha le finanze (ma soprattutto le idee) per farlo.

Ma un Consorzio è (o dovrebbe essere) anche il primo testimonial di una denominazione d'origine, cioè di un territorio, cioè di un patrimonio collettivo. Perchè questo dicono sempre e ripetono fino alla noia tutti, aziende e Consorzi: innanzitutto il territorio. 

E allora, chi ha più a cuore (con i fatti) il bene di tutto il territorio (il quale non è solo ambiente o paesaggio, ma anche storia, popolazioni, tessuto economico, eccetera eccetera), i marchi privati o la comunicazione istituzionale?

Entrambi?

...Nessuno dei due?